Complice la calura estiva, i corpi dei nostri consimili si espongono in una pinacoteca a cielo aperto di pitture, segni ed epigrafi, forse seconda per vastità e varietà solo alle incisione rupestri della Val Camonica, comunque già Patrimonio dell’Umanità. Se da un lato conforta pensare che in questo ambito c’è un mercato ancora foriero di massiva espansione che può far recuperare qualche prezioso punto percentuale al nostro PIL esangue, dall’altro l’esibizione biblica di questi corpi “piagati”, segnati quasi indelebilmente nelle carni, c’induce a riflessioni più cupe.
L’ostensione del tatuaggio è l’emblema dell’eclisse del sacro dalle nostre vite. Dove “sacro” non è, solamente, sinonimo di “religioso”. Il corpo è sacro perché depositario di un quid, di un mistero, già insito nella sua immanenza, nell’essere lì, in noi o di fronte a noi, nella sua fisicità reale, di storpio, gravida, pingue o vecchio. E se è sacro nella sua immanenza, a maggior ragione lo è nella trascendenza, per chi ci crede.
Tutto questo sentire, per la maggior parte, non esiste più. Evaporato nel pensiero unico del beauty wellness, della pubblicità martellante dei corpi palestrati, dell’obnubilamento generale della coscienza, allorché anche pensare è diventato faticoso. Resta il problema che l’anelito all’infinito è pure connaturato alla natura umana e l’essere umano si percepisce molto più significante di quanto possano contenerlo le sue povere membra.
Naufragate le ideologie egalitaristiche, affievolitosi il sentimento religioso, spentosi ogni afflato millenaristico sotto i macigni della tecnica e del mercato, l’uomo, e con lui la donna, si riscoprono nudi, senza protezione, proprio come nel racconto della Genesi. Per questo si ricoprono di segni e di scritte avulse da ogni naturalità somatica, si fanno spasmodica vetrina del sé, réclame ambulante. Come appunto se il proprio corpo, di per sé, non fosse già sapientemente significante.
Dove conduce tutto questo, lo si vede tristemente quando la cronaca estiva ci riporta del bagnante deceduto in spiaggia, con tutti gli altri astanti che nella totale indifferenza proseguono imperterriti nei loro traffici. Il corpo “funzionale” non è ormai più che “oggetto” e un oggetto – si sa – vale l’altro. Fine della Storia.