L’inchiesta sulla morte di Vittorio Bos Andrei, il cui nome d’arte era Cranio Randagio, è stata chiusa dalla Procura di Roma. Sono tre gli indagati, tutti coetanei del rapper morto a 22 anni per un cocktail di droghe. Due anni dopo Francesco Manente è accusato di detenzione e spaccio di stupefacenti, nonché del reato previsto dall’articolo 586 del codice penale: morte come conseguenza di altro delitto. Lui è il presunto fornitore delle sostanze che hanno ucciso Cranio Randagio. Gli altri due indagati devono rispondere di favoreggiamento: si tratta di Pierfrancesco Bonolis e Jaime Garcia De Vincentiis. Sono stati loro a scoprire che Cranio Randagio non respirava più. Chiamarono i soccorsi che, dopo un’inutile tentativo di rianimazione, constatarono la morte del rapper. Ma avrebbero coperto, con le successive dichiarazioni, il presunto spacciatore e altri rimasti ignoti. Come riportato dal Corriere della Sera, il pm Mariarosaria Guglielmi ha mandato l’avviso di conclusione indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio.
CRANIO RANDAGIO, TRE INDAGATI PER LA MORTE DEL RAPPER
I magistrati, coadiuvati dai poliziotti del commissariato di zona e della Squadra mobile, hanno ricostruito la morte di Cranio Randagio attraverso testimonianze parziali, divergenti e corrette nel tempo. L’autopsia ha accertato le cause del decesso del rapper, mentre l’analisi del traffico telefonico dei cellulari e alcuni filmati girati con un telefonino durante e dopo la festa mostrano i ragazzi sotto effetto di droghe. C’è Cranio Randagio che dichiara agli amici lo stato di «massima disfunzione cerebrale» in cui si trova. Poi lo si vede immobile ad occhi chiusi, steso su un fianco sul letto del padrone di casa, sotto una coperta rimboccata. Come riportato dal Corriere della Sera, se non era già morto, non si è più svegliato. Dai cellulari è stato estratto anche un messaggio inviato via Facebook tre giorni prima della festa, apparso anche sul telefonino di Vittorio Bos Andrei, in cui Francesco Manenti annunciava di portare il crack. Una sciocchezza secondo l’autore, ma per gli inquirenti la giustificazione è insufficiente perché il crack è stato trovato nel corpo della vittima, insieme alla cocaina che avrebbe sniffato davanti ai testimoni.