FUMA SPINELLO E CADE DALLA FINESTRA/ Per riniziare non serve il “branco” ma una nuova povertà

- Silvio Cattarina

Tre studentesse 17enni in gita scolastica si storidscono con uno spinello, una di loro precipita dalla finestra della camera d'albergo. Il commento di SILVIO CATTARINA

scuola_studenti_giovani_2_lapresse_2018 LaPresse

E’ davvero grande la povertà nella quale vivono i giovani d’oggi. Lo si capisce dal fatto che non parlano, non dicono, non si esprimono, dal fatto che hanno tutto in petto eppur da esso non scappa fuori niente. Pieni di gemiti, sordi e soffocati, che non giungono mai a trasformarsi in parole. “Siamo pieni di vita ma non lo sappiamo e non ci serve a niente”, mi ha detto uno di loro un giorno. 

Invece di parlare, si stordiscono. E’ quello che è successo qualche giorno fa a Napoli, dove tre studentesse di 17 anni, milanesi, in gita scolastica con la scuola, per strada hanno comprato dell’erba. Poi in camera se la sono fumata. Una di loro si è sentita male, ha aperto la finestra per prendere un po’ d’aria ed è precipitata da quanto era “stonata”. Fortunatamente la stanza era al primo piano dell’albergo dove alloggiava la scolaresca, così non è morta, è stata ricoverata prima al Cardarelli di Napoli poi a Milano. Chiuse in camera a stordirsi, senza niente da dirsi. Le altre due ragazze sono state denunciate per cessione di sostanze stupefacenti e lesioni in conseguenza di altro reato. 

Tantissimi giovani sono così — sembra un paradosso della sorte — per supponenza. Sì, per un presuntuoso e sfrenato orgoglio. Come se intendessero dire: io non ho bisogno di niente, non mi serve alcunché, non mi serve studiare, imparare, guardare altri… sono solo e me la devo cavare da solo, contro tutto e tutti.

Conoscendoli, frequentandoli apprendi che nel loro intimo alberga il famigerato, letale dubbio che il nulla sia la vera condizione, il vero esito della vita. Ecco perché allora scatta in loro, vendicativamente, la pretesa di farcela da soli, con le sole loro forze, pretendendo già di sapere tutto quello che c’è da sapere. Ovvero il nulla, come la droga.

Occorre invece che i giovani riconoscano la povertà che sono e che da lì ripartano per cominciare, per essere. E’ anche vero che perché possano riconoscere tale positivissima povertà bisogna che noi adulti siamo i primi a riconoscerla per noi. Dopo il fatto di Napoli il collaboratore del dirigente scolastico ha commentato: “Hanno fatto una stupidata. Qualcuno dei ragazzi ha comprato dell’erba per strada, durante la gita a Napoli, e l’ultima sera prima del ritorno a Milano se la sono fumata in compagnia, hanno ‘fatto branco’”. Tutto qui?

Il ragazzo che sa di essere povero chiede, implora, domanda. E’ felice, è lieto, anche quando le cose non vanno bene, anche nel dolore, nella sconfitta.

Il ragazzo che apprezza la sua povertà incontra dunque una grande ricchezza: la capacità di chiedere, la voglia di vivere. Comincia non più a parlare di sé, dei propri limiti e delle proprie mancanze, ma parla della vita, degli altri, di Dio. Il cuore del ragazzo non è più uno scrigno chiuso e impenetrabile ma è un fuoco ardente, entusiasta e creativo.

Il ragazzo che ama questa povertà incontra l’amicizia, gli amici, un gruppo, una compagnia seria, vera. Non un branco.

La povertà è un canto, un canto nuovo e bello, un’armonia. Sì, l’uomo che chiede, che si fida, che grida alla vita e a Dio tutto il bisogno del suo cuore è un uomo bello, più bello. Che si stupisce e si lascia stupire da ogni cosa, scoprendo così l’esistenza di una bellezza senza fine che è lì pronta da sempre ad abbracciate te, proprio te.

Il ragazzo non sia mai pronto, mai a posto, mai arrivato. Pronto a dare tutto sì, tutto e subito, ma con una pazienza infinita. 





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