KABOBO/ Il pluriomicida col piccone, ora studia: nessuna vita è mai perduta
Mada Kabobo, immigrato pluriomicida, da cinque anni in carcere, sta facendo un percorso educativo. La sua vicenda deve farci riflettere. ALDO BRANDIRALI

Una piccola notizia di questi giorni: Mada Kabobo, immigrato pluriomicida, da cinque anni in carcere, sta facendo un percorso educativo: impara l’italiano, fa le scuole elementari, aiuta nella consegna del cibo ai carcerati.
Quando scrissi di lui al tempo dei delitti annotai la questione degli errori sistematici fatti dai nostri servizi: aiuti parziali senza mai porsi la questione di come viveva, sapendo che nelle sue condizioni di ignoranza e malattia avrebbe potuto sopravvivere solo nei buchi più oscuri della nostra città.
Ora finalmente si intraprende un’azione mirata alla persona, e questo lo si deve al carcere.
Intanto scopriamo che Kabobo è normale, e a noi ricorda il dramma spaventoso della condizione umana dei migranti.
Nel viaggio che molti africani fanno dai deserti sahariani alla Libia e poi al mare verso l’Europa, tutto è a rischio. Quando sono da noi iniziano una presenza che per diverso tempo non è umanamente accettabile per un paese civile. La preoccupazione che generano nei cittadini è conseguenza della mancanza di attività di integrazione e di avviamento al lavoro. Si sente di avere davanti persone ridotte a una vita da emarginati, si ha paura perché si vede che è un rischio avere persone in queste condizioni. Ma allora ciò che è problematico non ha niente a che vedere con l’invasione e con il rubare lavoro agli italiani. Ha invece a che vedere con chi governa i processi di integrazione dei migranti.
Dopo quel periodo terribile di forte emarginazione avviene l’inserimento sociale, e milioni di migranti, nei venti anni di sviluppo del fenomeno, si sono integrati e hanno rafforzato l’economia del nostro Paese.
Dunque è un processo naturale l’inserimento di circa 200mila immigrati ogni anno nella nostra economia e nella nostra società. Ma come si governano i primi tre anni di questo percorso umano? Questo è il punto, e se è avvenuto malgrado gli errori commessi nel governare questo processo, è evidente che il vero miracolo avviene per l’apertura e la solidarietà umana degli italiani.
Non possiamo aspettare che vadano in carcere per avviare il percorso educativo. Occorre mantenere i flussi dentro la reali potenzialità di inserimento. Occorre mettere subito ciascuno dentro programmi di educazione e di avviamento al lavoro, non pagare un retta per restare immobili in attesa del nulla. Ma educare, far lavorare anche solo per lavori socialmente utili e solo in parte retribuiti. Insegnare la lingua subito per avviare una capacità di relazione, insegnare le regole della vita sociale del nostro Paese, insegnare a lavorare. Questi sono diritti elementari di ogni essere umano.
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