Dopo aver trascorso molti anni a nascondersi nella speranza di poter tornare ad avere una nuova vita, Angela si è sottoposta ad un trapianto di faccia, il primo in Italia. Un grande risultato per la nostra comunità scientifica, ma non possono essere ignorati i risvolti psicologici che questa vicenda suscita. Del resto la stessa Angela, la donna che si è sottoposta al delicato intervento, ha dovuto seguire un percorso anche psicologico per affrontare il trapianto. Per questo ne abbiamo parlato rispettivamente con lo psicologo Paolo Crepet.
Dottor Crepet, il caso del trapianto di viso pone un problema di identità. In casi analoghi all’estero chi si è sottoposto a questo intervento ha dato risposte diverse: si perde la propria identità o se ne trova una del tutto nuova. Quale il suo parere?
Questo tipo di operazione deve essere affrontato da una équipe che non è solo quella dei chirurghi. C’è infatti bisogno di un percorso molto importante che la persona che riceve questo trapianto deve fare, un percorso di personalità che va studiato prima dell’operazione.
Un percorso psicologico?
Purtroppo ancora oggi la figura dello psicologo da molti medici cosiddetti biologici come i chirurghi non è presa professionalmente sul serio. Sono certo, lo voglio sperare, che al Sant’Andrea di Roma abbia lavorato una équipe interdisciplinare, non solo il chirurgo e l’anestetista.
L’identità è qualcosa che interessa tutti, anche invecchiare e non vedere più il viso dei vent’anni per molti può essere uno shock, è così?
L’identità non è qualcosa che ci diamo da soli, è qualcosa che va studiata prima di una operazione come questa, farlo dopo non serve a niente.
Una paziente ha detto che vedendo un altro volto che non era più il suo le ha dato la forza di cominciare una nuova vita.
E’ certamente qualcosa di positivo ma questo è legato alla personalità psicologica di ogni persona, non al buon esito del trapianto. Pensare: finalmente ho trovato una donna compatibile dal punto di vista biologico e la cui faccia viene messa su di me è come il trapianto di cuore. Anche in quei casi si pongono dei problemi di identità, quando il paziente diventa consapevole che dentro di lui batte il cuore di un ragazzo di 20 anni che fino all’altro giorno stava con gli amici a divertirsi. Figuriamoci qualcosa come guardarsi allo specchio tutti i giorni e vedere il proprio volto.
E se l’operazione dovesse fallire? Che livello di shock potrebbe essere per il paziente?
Attenzione che il cosiddetto rigetto è anche psicologico. Se io mi rifiuto psicologicamente di assumere un nuovo volto, una nuova identità, anche il fisico lavora per il rifiuto, e in caso opposto il mio apparato biologico lavoro per l’accettazione. E’ un dato evidente, certe malattie capitano anche perché uno si abbatte mentalmente. E’ dimostrato.
(Paolo Vites)