Bufera su “Le Iene” per il servizio sul caso di Alessandro Gallelli, il giovane morto nel carcere di San Vittore. Il sindacato si è scagliato contro il programma di Italia 1 per le gravi accuse contenute nel servizio, ma sulla vicenda è intervenuto anche Francesco Basentini, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Nella nota esprime «profondo dispiacere per la vicenda umana e per il dolore della famiglia», ma anche «disappunto per l’immagine che è stata data dei rappresentanti della Polizia Penitenziaria e della dirigenza dell’istituto di Milano San Vittore». Basentini nel comunicato ha evidenziato il lavoro che viene svolto dagli agenti nelle carceri italiane. «Ogni giorno sono decine e decine gli eventi critici da fronteggiare, che nei casi più gravi costringono questi agenti a turni massacranti e interventi in emergenza». Il Capo del Dap parla di 61 casi nel 2018 in cui gli agenti non ce l’hanno fatta a intervenire in tempo per evitarlo, «ma ne hanno sventati quasi 1.200 e molti di questi proprio grazie alla prontezza, all’esperienza e alla capacità di intervento». Basentini parla anche di «oltre 10mila casi di autolesionismo e negli 11mila casi di invio urgente in ospedale, molti sono i detenuti che i medici hanno potuto salvare per la tempestività del primo soccorso prestato loro dagli agenti». Infine, ha evidenziato la loro abnegazione, nonostante le difficoltà e «qualche giornalista disattento continui a chiamarli “secondini” o “guardie” con una punta di ignoranza, come forse è successo ieri sera a Le Iene». (agg. di Silvana Palazzo)
IRA SAPPE: “GRAVI ILLAZIONI SU MORTE DETENUTO”
Dopo il servizio trasmesso ieri dalla trasmissione Le Iene sul presunto suicidio di Alessandro Gallelli, il giovane morto nel carcere di San Vittore, è intervenuto Alfonso Greco, segretario regionale per la Lombardia del SAPPE, smentendo in parte quanto emerso dal servizio: “Il carcere di San Vittore a Milano, come altre strutture detentive, ha oggettive difficoltà strutturali che meriterebbero urgenti interventi di manutenzione da parte dell’Amministrazione Penitenziaria”, ha ammesso. Nonostante questo però ciò “non pregiudica le condizioni di sicurezza dell’Istituto e la dignità della detenzione dei ristretti”. Quindi ha preso le difese degli agenti di polizia penitenziaria e del loro lavoro svolto egregiamente in un contesto certamente non semplice, “Altro che le gravi accuse contenute nel video mandato in onda su Le Iene”. Quindi si è detto stupito di come lo stesso inviato del programma neppure sapesse come si chiamano gli appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria. A commentare il servizio de Le Iene anche Donato Capece, segretario generale del SAPPE che ha ribadito l’impegno di rendere il carcere una “casa di vetro”, ovvero “un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto – lavoro svolto quotidianamente”dalla Polizia Penitenziaria. Quindi ha rimarcato come tutti i detenuti godano di ogni tipo di tutela e garanzia, mettendo in risalto il lavoro svolto da uomini e donne in divisa. “Per tutto questo, respingiamo al mittente le gravi illazioni sulla morte di un detenuto a San Vittore a Milano, rispetto alle quali mi auguro che anche l’Amministrazione Penitenziaria adotti adeguati provvedimenti per tutelare l’onorabilità della Polizia Penitenziaria”, ha chiosato Capece. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
FAMIGLIA: “È STATO UCCISO”
Il caso è stato archiviato, ma le indagini sulla morte di Alessandro Gallelli potrebbero riaprirsi. Il Gip ha archiviato, ma ha anche spiegato che la nuova denuncia dei familiari per omicidio volontario o preterintenzionale, basata su una recente consulenza medico legale, sarebbe utile per indagare di nuovo sulla morte del 21enne. Del caso si è occupato il programma “Le Iene”, con Veronica Ruggeri che ha spiegato perché l’ipotesi del suicidio non convince. Il ragazzo è stato trovato morto il 18 febbraio 2012 nel carcere di San Vittore a Milano: si sarebbe impiccato alla grata della sua cella facendo un nodo alla sua felpa. I familiari e i loro periti non credono a questa versione perché troppe cose non tornano. L’inviata ha quindi ricostruito gli ultimi momenti di vita di Alessandro. I buchi della grata a cui Alessandro Gallelli avrebbe attaccato la felpa con cui si è strozzato sembrano davvero troppo piccoli per farci passare la stoffa spessa della felpa e annodarla per creare il cappio. E tutto questo sarebbe avvenuto in poco tempo, visto che Alessandro Gallelli si trovava in isolamento nel reparto di osservazione neuropsichiatrica ed è sorvegliato a vista dalle guardie. «Vogliamo che si apra un processo», dice il fratello. E infatti qualche settimana fa i familiari hanno portato tutte le nuove prove in tribunale. Ora bisognerà decidere se riaprire il caso. Per i consulenti della famiglia, quella morte «non è compatibile con l’ipotesi suicidaria», ma è «riconducibile a un omicidio mediante strozzamento», con successiva «manipolazione volontaria della scena del crimine».
ALESSANDRO GALLELLI MORTO IMPICCATO IN CARCERE?
Alessandro Gallelli era in carcere perché responsabile di diverse bravate. Faceva uso di sostanze stupefacenti, rubava motorini, infastidiva le ragazze e una volta diede una testata ad un poliziotto che gli aveva chiesto il biglietto del treno. Per aver palpeggiato il sedere di una 16enne fu portato quindi nel carcere di San Vittore a Milano con l’accusa di violenza sessuale. «Per due volte due avvocati ci hanno detto di stare tranquilli, che in due settimane sarebbe uscito», racconta il fratello. Ma il 21enne non è mai uscito da quel carcere, se non da morto. Le settimane diventarono mesi e Alessandro cominciò a mostrarsi sempre più agitato in carcere: litigava con gli agenti e venne spostato nel centro di osservazione neuropsichiatrica del carcere. Lo misero in isolamento con una sorveglianza continua. Dopo qualche giorno la telefonata: «Suo figlio è morto». Quel decesso risultò subito misterioso, ma sicuramente evitabile visto che nel 2016 il tribunale civile di Milano ha condannato in primo grado il ministero della Giustizia a risarcire la famiglia del ragazzo. Secondo il giudice civile, non è chiaro come il detenuto, sottoposto a sorveglianza a vista, potesse essere riuscito a suicidarsi in meno di trenta minuti, nell’intervallo tra un controllo e l’altro, in quella cella dove doveva essere controllato costantemente. La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione del caso come suicidio, ma i familiari del giovane davanti alla Gip Mara Cristina Mannocci hanno chiesto che si effettuino nuove indagini, con l’ipotesi di reato di omicidio volontario.