Il generale dei Carabinieri Vittorio Tomasone ai tempi dell’arresto di Stefano Cucchi era il comandante provinciale di Roma e oggi, durante la deposizione in Corte d’Assise, ha rilasciato alcune importanti dichiarazioni che su alcun punti non collimano con i dati e le analisi riportate dalle carte processuali sul parere del medico-legale. «Per quello di Cucchi era un arresto normale», spiega il generale in Aula non prima di specificare, «Chiesi se era vero che era stato arrestato dai Carabinieri e mi fu detto che era stato arrestato una settimana prima. Quindi chiesi altre informazioni e mi dissero che, a parte l’attivazione del 118, non c’erano stati problemi, che c’era stata un’udienza di convalida dell’arresto e la consegna alla Polizia penitenziaria. Chiesi al comandante del gruppo e agli altri comandanti di preparare una relazione di servizio da parte di tutti quelli che avevano avuto un contatto fisico con Cucchi, dall’arresto fino alla consegna alla Polizia penitenziaria. Quindi, uno degli ultimi giorni di ottobre, chiamai la signora Cucchi per esprimerle la mia vicinanza personale sulla scorta di quello che mi era stato riferito e degli accertamenti possibili fatti». Tomasone ha poi detto di non essersi mai interessato dell’aspetto medico-legale della morte di Cucchi, eppure il pm stamattina ha presentato un atto a firma proprio dell’allora comandante provinciale Tomasone in cui di fatto venivano anticipate conclusioni sull’autopsia che la Procura di Roma ancora non conosceva. Su questo, fatto notare dal giudice, Tomasone avrebbe replicato che tali conclusioni erano a carico del suo sottoposto diretto, il colonnello Alessandro Casarsa.
PM “GARA TRUCCATA, ALFANO INDOTTO A DICHIARARE FALSO”
Novità e per nulla minime nel processo “bis” sul caso e la morte di Stefano Cucchi, l’architetto romano con problemi di tossicodipendenza arrestato, menato e probabilmente ucciso all’interno del carcere di Rebibbia il 22 ottobre 2009. Secondo il pm Giovanni Musarò, sulla morte di Cucchi l’attività di depistaggio è stata talmente profonda che perfino il Ministro della Giustizia di allora, Angelino Alfano, «venne inconsapevolmente indotto a riferire il falso su atti falsi». Lo ha detto stamane il procuratore negli atti depositati in apertura dell’udienza a carica di 5 carabinieri: «si è giocata una partita truccata, con carte segnate. Una partita giocata sulle spalle di una famiglia». Secondo quanto emerso dalle carte pubblicate da Repubblica e Tg Com24, tra gli altri, l’attività di depistaggio «iniziò il 26 ottobre del 2009 dopo un lancio dell’agenzia Ansa in cui Patrizio Gonnella e Luigi Manconi denunciano pubblicamente che Stefano Cucchi al momento dell’arresto stava bene e che non aveva segni sul volto, visti poi dal padre il giorno dopo nel processo per direttissima». Ancora il pm Musarò attacca nelle carte chiedendosi cosa successe quel giorno convulso, con il Comando generale dell’Arma da cui partono richieste urgentissime di chiarimenti: «tutte queste annotazioni non servivano al pm ma all’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano che avrebbe dovuto rispondere al question time alla Camera». Il pm aggiunge anche «il ministro, per paradosso, si limitò a riferire il falso su atti falsi».
ILARIA CUCCHI, “CONTINUI DEPISTAGGI, SONO DISGUSTATA”
Secondi il pm durante il processo Cucchi, il ruolo dell’allora ministro Alfano ha una specifica da spiegare nel dettaglio: «nel corso del question time disse, tra l’altro, che Cucchi era stato collaborativo al momento dell’arresto, omettendo ogni passaggio presso la compagnia Casilina e che era già in condizioni fisiche debilitate quando venne fermato. Da qui – sostiene ancora il magistrato – parte una difesa a spada tratta dell’Arma e si traduce in una implicita accusa nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che avevano preso Cucchi in custodia per il processo». Una serie di depistaggi e nascondimenti fatti da alcuni protagonisti del processo sulla morte di Stefano Cucchi di fatto riportò ad Alfano una verità completamente parallela e inventata: «in quegli atti si affermava che non c’era un nesso di causalità tra le botte e la morte di Cucchi, che una delle fratture era risalente nel tempo e che i responsabili del decesso erano solo i medici. Tutto ciò – aggiunge il pm – era stato scritto non solo quando i consulenti erano ben lontani dal concludere il loro lavoro ma quando la procura doveva ancora nominarli. Ciò lascia sconcertati». Le primissime reazioni a tali conclusioni arrivano dalla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, la vera responsabile della riapertura del processo e della battaglia a favore della verità ultima su suo fratello: «Da sorella di Stefano e da cittadina sono disgustata – dice Ilaria Cucchi ai colleghi di Open – quello che è successo è spaventoso. I depistaggi sono cominciati subito dopo la morte di Stefano e continuano ancora oggi, in quest’aula di Tribunale, dove abbiamo assistito alla deposizione di un altro ufficiale dei carabinieri che non ricorda nulla».