C’era da aspettarsi che nel giorno della commemorazione dei defunti anche i giornali si occupassero della morte.
A dire il vero mi auguravo che non ne parlassero affatto. Avrei avuto l’impressione che almeno di fronte a questo mistero ultimo prevalesse il pudore di tacere. Invece no. Il Corriere della Sera (riprendendo da Panorama) sbatte in prima pagina l’ennesima puntata della saga dello sfascio italico. Sembra che siano state scoperte delle società adibite alla cremazione dei corpi defunti, le quali, per risparmiare sull’energia necessaria alla bisogna, hanno buttato nella spazzatura i corpi (non prima di aver arraffato vestiti e altro che si sarebbe potuto riciclare). Ne consegue che i parenti non sono più sicuri che le urne ricevute contengano davvero le ceneri dei propri cari. Fa impressione che ci sia gente capace di speculare anche sul supremo passaggio di una vita e sul dolore di quelli che restano. Così come fa specie che lo scandalo sia fatto emergere proprio nel giorno dei Morti. Come a dire che non c’è davvero più niente che si salva dallo sfascio, dalla deriva (è il titolo dell’ultimo volume di Gian Antonio Stella, che firma anche l’articolo di cui stiamo parlando), dall’imbarbarimento. L’articolo finisce invocando sui criminali della cremazione la vendetta di non meglio precisati dei. In tal modo, si è forse trovato un facile capro espiatorio per non guardare in faccia al mistero della morte. Per l’amor del cielo, non voglio difendere i criminali, ma non mi va che si parli della morte come un semplice capitolo dello sfascio del nostro paese, come la spazzatura a Napoli o le università che spendono troppo. In realtà anche quel macabro commercio di corpi mette in rilievo una crisi ben più profonda.
C’è in ballo una vera, grave trasformazione culturale, come scrive Roberto Beretta su Avvenire. Il giornalista analizza una recente pubblicazione della sociologa canadese Céline Lafontaine. La quale parla addirittura di società «post mortale». Le scoperte scientifiche, lo sviluppo delle tecnologie mediche, il mito dell’eterna giovinezza, il diffondersi delle pratiche di cremazione (ammesse anche dalla Chiesa) con dispersione delle ceneri nella natura (dalla Chiesa, invece, sconsigliate perché sono venate di panteismo e impediscono quell’umanissimo gesto di comunione tra i vivi e i defunti che è la preghiera di suffragio); tutto questo sta portando ad una cultura in cui la morte perde di peso, smarrisce il suo significato. E il suo significato non può che essere il supremo richiamo alla finitezza della vita e, nel contempo, la sua domanda di eternità. Un significato da guardare in silenzio.