Un ricordo appassionato di Paolo VI, il papa del Concilio. Benedetto XVI ha dedicato la sua omelia, celebrata ieri a Brescia in occasione della sua visita pastorale, alla memoria del grande pastore. “La riflessione di Papa Montini sulla Chiesa – ha detto Benedetto XVI – è più che mai attuale”. Papa Ratzinger saluta così il grande frutto spirituale della chiesa bresciana, espressione di un popolo la cui esperienza rimane esemplare per tutti. “Non posso dimenticare – ha detto – specialmente qui a Brescia, i fedeli laici, che in questa terra hanno dimostrato straordinaria vitalità di fede e di opere, nei vari campi dell’apostolato associato e dell’impegno sociale”. Ilsussidiario.net ha parlato della visita di Benedetto XVI con Giuseppe Camadini, fondatore e presidente dell’Istituto Paolo VI.
Una visita, quella di Benedetto XVI, all’insegna del ricordo di Paolo VI proprio nella sua città. Come ha accolto questo evento?
Per Brescia è stato un evento di eccezionale importanza, sia sotto il profilo ecclesiale che civile e che per questo segnerà la storia della città. E poi un vero e proprio incontro ideale tra due pontefici con personalità assai diverse, per origini nazionali, per formazione, per curriculum ecclesiastico, ma non prive di affinità per comune, acuta sensibilità intellettuale oltre che per vocazione ecclesiale.
E dal suo punto di vista prettamente personale?
Non posso che sentirmi partecipe dei sentimenti diffusi tra il popolo bresciano. Di gioia spirituale, di stimolo ad operare il bene, a ricercare negli insegnamenti dei due pontefici e della Chiesa spunti di richiamo all’esigenza, innanzitutto, di un recupero di spiritualità nel tempo nostro, proprio quando la fede sembra essere dai più abbandonata. Ma non bisogna essere pessimisti e saper riconoscere in tutto il segno della provvidenza.
Che cosa accomuna, dal suo punto di vista, Benedetto XVI a Paolo VI?
Montini e Ratzinger sono due grandi intellettuali che si sono confrontati con gli aspetti più problematici del loro tempo. Il tema del relativismo contemporaneo è stato ed è al centro della riflessione di entrambi, ma si è accusato Montini di un cedimento problematico verso gli aspetti più controversi della società moderna. Questa valutazione è errata. La realtà è che Montini ebbe una posizione molto chiara e anche coraggiosa. Il papa dell’Humanae vitae ha saputo andare, restando fedele al Vangelo, anche contro le tendenze prevalenti della società secolarizzata.
Come si spiega allora quell’atteggiamento nel quale in molti hanno voluto vedere titubanza o incertezza?
Montini aveva una profonda capacità di pensiero critico che utilizzava per sondare i contenuti dei problemi, meditandone tutti gli aspetti, ma poi alla fine ha sempre preso una linea molto determinata. Lo si è visto, senza possibilità di equivoci, nei momenti conciliari più delicati.
Lei è direttore dell’Istituto Paolo VI. Si può dire ultimata la ricerca e la comprensione dell’uomo, del pensatore e del pastore Giovanni Battista Montini?
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Nell’archivio dell’Istituto sono raccolti circa 100 mila documenti montiniani, di cui la maggior parte è ancora inedita, e in un certo senso inesplorata. L’istituto ha scelto di procedere secondo un rigoroso metodo scientifico, di ricerca della verità attraverso lo studio dei documenti e delle opere di Montini e non agiografico. Montini è stato un profondo conoscitore della tradizione ma anche del proprio tempo, un papa dalla personalità complessa e per molti aspetti forse non capito. Ma c’è un fatto significativo: col passare del tempo viene riscoperto e aumentano le attestazioni di stima verso il suo pensiero.
Brescia è una città che concentra molti aspetti della società e della storia del nostro paese: la borghesia, l’imprenditoria, il cattolicesimo e il suo ruolo economico e sociale. Che cos’ha significato per la città di Brescia la vocazione di Paolo VI?
Cercando di evitare sommatorie forzate, le risponderei citando Milano. A Milano Montini si è trovato di fronte ad un problema pastorale enorme. Nella capitale del boom economico e della pluralità culturale, il ruolo di Montini è stato quello di far risorgere un punto di riferimento alto. È suo il paragone con le guglie del Duomo. La sintesi delle tante “guglie” – economiche, sociali e politiche – è però lassù, solo in quella principale queste possono trovare la loro chiave interpretativa più alta e definitiva. Ma questo sempre nel massimo rispetto della dimensione laicale della società e della pluralità delle fedi.
Questo vale anche per Brescia? Essa offre l’esempio di un modello ad alta coesione economica e sociale, in cui il cattolicesimo ha avuto un ruolo essenziale.
Questo è vero, ma non si deve fare l’errore di caratterizzare Brescia in senso univoco. La città ha delle complessità interne che si sono evolute nel tempo: fra la stagione del primo Montini assistente delle Fuci, quella in cui ci fu la preparazione di un’intera classe dirigente, e quella che Montini dovette affrontare poi, negli anni ’60, ci sono delle differenze anche abissali. Questo non tocca il valore della linea montiniana, al contrario ne dimostra il valore e la capacità di sintesi.
Come definirebbe questa “linea montiniana”?
Di ricerca della verità alla luce del Vangelo, in una interpretazione rispettosa di tutti i valori – culturali, economici e sociali – senza fare forzature, ma con la convinzione che attraverso la fede, cui spetta la luce dominante, la ragione ci deve guidare attraverso le realtà naturali a trovare il rapporto con la trascendenza. Questo è l’impegno del Montini di ieri e dev’essere il nostro di oggi.
In che cosa invece la visita di Benedetto XVI costituisce uno stimolo per la città di oggi?
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Penso, e voglio credere, che abbia un valore di sfida: a ripensare il rapporto tra quella che fu la linea montiniana e quella che può e deve essere l’attualizzazione di quell’ispirazione, ma senza manierismi. Durante la sua omelia Benedetto XVI ne ha dato una versione calzante: “Papa Montini – ha detto – non perdeva occasione per sottolineare il primato della dimensione contemplativa, cioè il primato di Dio nell’esperienza umana”. Il mondo cambia, ma l’ispirazione del Vangelo rimane decisiva per tutti gli ambiti della vita: individuale e sociale.
Due o tre punti irrinunciabili per una ragione che voglia mantenersi aperta alla fede?
Una forte spiritualità, riscoprire cioè la vita religiosa come vita di grazia. Solo da essa può discendere una coerente pratica religiosa e la coerenza pratica del comportamento. In una società che dissocia il momento etico da quello teoretico, la ragione deve svolgere un ruolo di raccordo nell’ordine naturale e poi di raccordo con l’ordine soprannaturale così come ci è stato rivelato. Gli ambiti sono vari e complessi e tutti parimenti insidiosi: pensiamo soltanto a quello economico finanziario. Sono convinto che in questo i cattolici possano ritrovare una loro tensione unitiva.
Che cosa intende dire?
Parlo della necessità profonda di un rinnovamento civile. Oggi se ne avverte la necessità ma resta l’incognita di come produrlo. Quella società che a fine ’800 ha prodotto il movimento sociale cattolico, e non solo in Italia, nasceva da una spiritualità – talora classificata da alcuni come di spiritualismo intimista: potrà forse essere stato così in alcune forme, ma è un problema secondario. Il fatto essenziale è che prima del grande movimento sociale cattolico c’è stato un grande movimento spirituale. Vi si ritrovano santi, fondazioni di congregazioni religiose, ma prima di tutto il recupero della capacità di fare grandi scelte di vita.
Quel periodo è stato segnato da una grande vivacità di esperienze economiche e sociali, fondate sull’iniziativa e lo slancio di grandi personalità e di gruppi. Queste esperienze possono essere ancora il motore dell’Italia di oggi?
Assolutamente sì. Ma occorre ritrovare una nuova e più vera capacità dialogica tra le varie componenti di queste realtà. Questo esige quell’integrità spirituale e intellettuale che sola consente il dialogo e la costruzione di un senso di comunità.
Oltre alla finanza oggi anche la politica sembra aver perso la bussola e farsi governare dal conflitto più che dalla preoccupazione per il bene comune. Esiste secondo lei, una vera “riforma” più urgente e fondamentale di altre?
Sì, una su tutte: l’esigenza del recupero dell’educazione come condizione primaria per la formazione della persona umana e la ricomposizione dell’ordine e del bene, personale e sociale. E Benedetto XVI non smette di richiamarne l’importanza.
(Federico Ferraù)