Diego Marconi è uno dei personaggi più interessanti della filosofia italiana. Di scuola ermeneutica, studi anglosassoni, approdo analitico e prospettive ancora da scoprire, Marconi mostra nel suo Per la verità (Einaudi, 2007) di avere il coraggio di affrontare in un libretto quasi-divulgativo un problema macroscopico come quello della verità. Ci vuole coraggio, perché quando si prova a dare un giudizio sintetico, s’incorre sempre nello sdegno di questo o quello specialista. Peggio ancora se poi lo si scrive in un linguaggio accessibile a tutti.
Ancora di più ci vuole coraggio per sostenere la tesi centrale del libro: la verità c’è e noi ne abbiamo bisogno.
La proposta poggia sulla distinzione fra verità e giustificazione. Non si può confondere la verità con il modo di giustificarla e Marconi fa vedere perché con distinzioni puntuali e precise. Non so giustificare il fatto che questo tavolo esista eppure è un fatto che esso esista, ed è una verità la proposizione che asserisce questo fatto.
Sembrerà poco, ma ciò diventa decisivo nei confronti dello scetticismo, soprattutto di quello radicale. Le nostre conoscenze sono solo il frutto di un certo modo di vedere? Non esiste nessun fatto ma solo interpretazioni? Marconi risponde dicendo che il dubbio scettico o è inteso in un senso diverso da quello normale o è “ozioso”. Questo tavolo è il frutto di un certo quadro teoretico e quindi non sappiamo se ci sia? O si specifica il senso in cui si vuole dire che “non sappiamo” e sarà allora un caso particolare del sapere (non sappiamo, per esempio, come si chiama in una determinata lingua o come lo si usa in una determinata cultura) o il dubbio è puramente intellettualistico, nel senso che non cambia nulla a tutti i fini pratici.
L’ultima parte del libretto fa vedere anche come il relativismo non sia più difendibile dal lato morale (comprensibile ma non difendibile), ma la risposta più acuta è rispetto al luogo comune che il cercare è meglio e più umano del trovare, l’errare di heideggeriana memoria. La risposta è di quelle definitive: «Dalle chiavi di casa alla terapia efficace del carcinoma ovario, si cerca per trovare. Se davvero si pensasse che non c’è nulla da trovare, o che è impossibile trovarlo, si smetterebbe di cercare (e infatti non si cerca più di quadrare il cerchio o di realizzare il moto perpetuo). La nobilitazione della ricerca rispetto al suo eventuale risultato è una razionalizzazione di quella che si considera (a torto o a ragione: secondo me, a torto) l’estrema povertà dei risultati conseguiti, ad esempio, in filosofia rispetto agli sforzi profusi: un tentativo di salvare il salvabile, pregiando il viaggio più della sua meta, a cui non si riesce ad arrivare e che forse non esiste. Ma è una razionalizzazione controproducente, perché fa di un’impresa forse vana un’impresa sicuramente sciocca».
Mi associo, soprattutto al coraggio di guardare in faccia la realtà di come siamo fatti. Che questa realtà, la nostra stessa ricerca, sia poi un segno del fatto che la verità di cui abbiamo bisogno esista e che lo studio del segno sia strada alla verità, sono discorsi che spero che lo stesso Marconi voglia prima o poi intraprendere.
(Giovanni Maddalena)