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Home » Cultura » Storia » STORIA/ 11 settembre, il futuro d’Europa si gioca a Vienna

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STORIA/ 11 settembre, il futuro d’Europa si gioca a Vienna

Alberto Leoni
Pubblicato 11 Settembre 2009
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Dopo la storica vittoria di Lepanto, avvenuta più di un secolo prima, la potenza navale ottomana era stata ridimensionata. Lo stesso non poteva dirsi per le truppe terrestri. ALBERTO LEONI racconta la storia della Battaglia di Vienna, che riunì la cristianità europea sotto il comando del cappuccino Marco d’Aviano

La vittoria di Lepanto del 7 ottobre 1571 impedì l’invasione dell’Italia nell’immediato e, come risultato di lungo periodo, provocò la fine della potenza navale ottomana nel Mediterraneo. Eppure, la componente militare terrestre turca continuò a essere temibile, nonostante la crisi politica del sultanato e il progressivo decadimento dell’impero ottomano. Il fatto è che le armate messe in campo dalla Sublime Porta erano ancora molto più numerose e meglio organizzate di quelle europee e, anche nel caso di sconfitte come quella della Raab del 1664, il potere economico e diplomatico turco era tale da imporre, ogni volta, le proprie condizioni di pace. Insomma, i turchi potevano perdere le battaglie ma non avevano mai perso una guerra. Nonostante la crisi cui si accennava, l’esercito ottomano non aveva cessato di espandersi verso la Polonia e la Russia. Nel gennaio del 1683 il vizir Kara Mustafà fece issare le code di cavallo poste davanti al Topkapi, il palazzo imperiale di Istanbul. I preparativi furono sbalorditivi, centocinquantamila uomini, compresi i non combattenti, poiché la grande armata truca era diretta verso Vienna e la vittoria era sicura. Nessuna forza al mondo poteva fermare una simile potenza: non certo una cristianità divisa e litigiosa, dove il cattolicissimo Luigi XIV di Francia era, di fatto, alleato del Turco. Bisognava mettere insieme troppi paesi diversi per cultura, religione e interessi politici.


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Eppure chi riuscì in questa impresa titanica fu un padre cappuccino padre Marco d’Aviano che trattò con la Baviera e con la Polonia. Solo in questo modo si riuscì a radunare e far combattere insieme protestanti del Brandeburgo e della Sassonia con cattolici bavaresi, austriaci e polacchi: e tutto questo, va ricordato, a meno di mezzo secolo dalla fine della guerra dei Trent’anni.


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Mentre Carlo di Lorena, comandante della cavalleria imperiale, riusciva a mantenere il controllo dei ponti sul Danubio, Vienna resisteva a un assedio tremendo, iniziato il 14 luglio e proseguito fra esplosioni di mine colossali e feroci corpo a corpo sulle brecce. Dei 16.000 difensori iniziali, dopo due mesi di assedio ne erano rimasti poco più di 6.000. L’11 settembre l’armata cristiana, che ammontava a 75.000 uomini raggiunse le pendici del Khalemberg e fu avvistata dalle mura di Vienna. Quella notte i difensori lanciarono razzi rossi per segnalare l’estrema necessità di un soccorso immediato: la città non poteva resistere più di altre trentasei ore. La mattina del 12 padre Marco celebrò la messa e poi iniziò la manovra d’attacco. L’esercito cristiano adottò una tattica articolata e letale, combinando le cariche di cavalleria degli ussari alati polacchi col fuoco disciplinato e ritmato delle fanterie asburgiche: la guerra dei Trent’anni era stata una severa maestra e aveva dato all’Occidente una supremazia militare che non sarebbe mai più venuta meno.


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Dopo quella vittoria l’offensiva proseguì negli anni successivi fino alla vittoria di Zenta (11 settembre (!) 1697) e alla pace di Carlowitz del 1699. Solo in tempi recenti si è dubitato che la conquista di Vienna da parte ottomana non avrebbe avuto conseguenze rilevanti per la storia europea: un modo come un altro per cercare di cancellare dalla storia memorie esaltanti per alcuni, sgradevoli e imbarazzanti per altri.


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