Varsavia, 12 maggio 1983. Quel pomeriggio Basia, la madre, non è in casa. Da Grzegorz arrivano un paio di amici a far festa dopo gli esami di maturità, bevono un po’ di vino. Si avvicina un temporale, Grzes esce sul balcone: “Corriamo alla città vecchia, sotto la pioggia!”.
Il temporale è passato, i ragazzi si rincorrono per la strada, una pattuglia della polizia li ferma, li conduce al commissariato per controllare i documenti nonostante la legge marziale, in vigore dall’’81, sia stata sospesa: a giugno c’è la visita del Papa. Cezary, uno dei tre, è testimone del pestaggio con cui gli agenti riducono Grzes in fin di vita, a manganellate e gomitate nello stomaco: “Picchiate in modo da non lasciar segni”, dice l’agente di guardia.
Dal commissariato chiamano l’ambulanza, ma agli infermieri viene ordinato di portarlo al reparto di psichiatria, così magari si riesce a dimostrare che il delirio è dovuto a qualche droga o all’alcol. “Mio figlio non è psicopatico, è stato picchiato”, tenta invano di spiegare Basia, che se lo riporta a casa. Grzes però sta male, ha l’addome spappolato, la notte stessa è ricoverato di nuovo e operato, ma il giorno dopo muore.
L’episodio viene raccontato nel film di Wieczynski su padre Popieluszko, quando entra in scena la coppia affiatata madre-figlio, lei impegnata nel Comitato del primate per aiutare le vittime della repressione, lui lo studente capellone incuriosito da quanto accade attorno a don Jerzy. Barbara Sadowska, poetessa, dall’inizio degli anni ‘80 è attiva negli ambienti dell’opposizione al governo comunista. Grzegorz l’aveva avuto a 24 anni dal matrimonio con l’ingegner Leopold Przemyk, una relazione durata pochissimo: lui non era il tipo da far vita notturna come quella che invece piaceva a Basia.
L’avevano avvertita: attenta a quel che fai, ricordati che hai un figlio. A fine aprile la polizia aveva fatto una perquisizione nel loro appartamento, ed entrambi avevano passato un paio di notti in cella. Il 3 maggio era stata aggredita “da sconosciuti” presso la chiesa di San Martino. L’appartamento di due stanze e una cucina in cui vivevano era un porto di mare, situato all’undicesimo piano di un palazzone moderno per l’epoca, con tanto di portinaio (confidente della polizia) e ascensore velocissimo.
Chi c’è stato ricorda che chiunque vi poteva salire e portare o trovarvi qualcosa da mangiare e da bere. Si declamavano versi, si confezionavano pacchi per i carcerati, vi bivaccavano artisti informali o poeti “maledetti”, vi passavano sconosciuti venuti dalla provincia in cerca di fortuna. Uno strano miscuglio di arte, vodka, promiscuità, ma anche libertà e carità nella capitale sotto assedio.
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Il letto di Grzes era spesso occupato da qualcun altro, perciò lui si accampava nel primo posto libero, spesso con gli abiti addosso. C’era un legame stretto fra madre e figlio, ma Grzes avrebbe avuto bisogno di un padre, di un ambiente più tranquillo, di una vita più regolata.
Gli ex compagni del liceo Modrzewski lo ricordano come uno studente intelligente, aperto, tollerante, cordiale, vivace, sensibile, molto diverso dagli altri, anche nell’abbigliamento spesso trasandato. Per alcuni era “un esibizionista letterario”, altri invece lo ammiravano, non c’era via di mezzo. “Il poeta deve portare su di sé le stigmate e il marchio del peccato, e avere negli occhi l’ira e la rivolta!”, proclamava.
Conosceva i versi di Milosz e ne discuteva durante l’ora di letteratura. Nessuno dei compagni del primo anno sapeva chi fossero Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, lui recitava i loro versi con trasporto. Gli piaceva suonare la chitarra, cantare le canzoni del russo Vysockij, e le sue poesie giravano per la classe. Basia, un po’ gelosa della fidanzata Marzena, cercava di stare attenta che non esagerasse nel bere e nel fumare. Poi, la tragedia.
Il 19 maggio il funerale, celebrato da don Jerzy, si trasforma in una manifestazione silenziosa dell’indignazione popolare contro le brutalità del regime. Ma il dolore, l’indignazione, l’impotenza, di allora e, oggi, la volontà di punire i colpevoli (fino all’’89 il ministero degli Interni ha coperto le responsabilità della polizia addossandole al personale medico, e nel 2005 il reato è caduto in prescrizione), non bastano a dar ragione di una vita spezzata a 19 anni. Quelle tragiche giornate segnano per sempre anche Basia.
Nel film l’episodio si chiude con le parole del Papa in partenza verso Jasna Gora, pronunciate con straordinaria potenza evocativa: “Desidero portare là tutte le sofferenze della mia nazione, e insieme quella volontà di vittoria, che non l’abbandona pur in mezzo a tutte le sconfitte e le esperienze della storia”. In effetti quel 17 giugno 1983, dopo la visita ufficiale da Jaruzelski, Giovanni Paolo II incontra il mondo della cultura informale nella chiesa dei cappuccini.
“Là c’è Basia, la mamma di Grzes”, gli fa cenno qualcuno. Il Papa si fa largo tra gli artisti, l’abbraccia sorreggendola (era alimentata con le flebo) e le sussurra: “Figliola, come potrei mai consolarti?”. È questo incontro, assieme alla vicinanza di don Jerzy, a ridarle la forza di offrire quel dolore per prepararsi un giorno a rivedere Grzes.
“Strappandomi mio figlio / mi hai preso nelle Tue braccia / Ho paura di volgere lo sguardo verso il Tuo volto”, scrive nella raccolta “È dolce esser figli di Dio”. Dal 1986 madre e figlio riposano assieme.