Recentemente, a Roma, si sono conclusi gli scavi archeologici, avviati nel 2006, che hanno interessato il centro di Piazza Venezia. Essi sono stati sostituiti adesso da un’ampia aiuola fiorita, mentre gli scavi continuano nella vicina piazzetta prospiciente la chiesa della Madonna di Loreto. Gli importanti ritrovamenti effettuati verranno pubblicati prossimamente in un volume speciale del Bollettino d’arte dal titolo Archeologia e infrastrutture. Prime indagini archeologiche per la Linea C della metropolitana di Roma (2010).
Fra i ritrovamenti avvenuti nel corso degli scavi il più importante è certamente l’Ateneo dell’imperatore Adriano (117-138) il quale, coltissimo e amante della grecità in tutte le sue manifestazioni, avrebbe fatto costruire – usiamo il condizionale anche se pare ormai accertato di quale monumento si tratti – a ridosso del foro di Traiano e della sua celebre colonna una “palestra” culturale, sul modello di quelle greche, Atene in particolare, e del Museo di Alessandria, forse ricordando nostalgicamente i suoi viaggi nella parte orientale dell’Impero, i suoi viaggi in Grecia, la sua prodigalità nel nobilitare con edifici monumentali le città greche di grande tradizione.
L’Ateneo era il luogo nel quale filosofi, poeti, oratori, uomini di lettere e di cultura si incontravano per discutere fra loro e, talvolta, con lo stesso imperatore, che l’aveva fatto edificare probabilmente nel 133 d.C., rientrato a Roma dopo aver soggiornato per la terza volta ad Atene. Due scalinate di ampi gradoni affrontati arredavano questo spazio privilegiato delle idee e della cultura. Dobbiamo credere che il dibattito assumesse qualche volta toni veementi, non diversamente dal modello ateniese, che l’apostolo Paolo aveva conosciuto bene e dal quale si allontanò deluso dalla supponenza dei filosofi.
Gli scavi nell’area di Piazza Venezia hanno riportato alla luce anche nuove iscrizioni: una della tarda antichità, nella quale è menzionato F. Felix Passifilus Paulinus, che rivestì la praefectura Urbi (magistratura istituita da Augusto per il governo della città di Roma in assenza del Principe) nel 473 d.C., quindi tre anni prima della fine dell’Impero Romano d’Occidente; alcuni frammenti che potrebbero completare un’iscrizione frammentaria, rinvenuta alla fine del XVII secolo, dedicata a Traiano e a sua moglie Plotina, già divinizzati (divi), da Adriano e sicuramente pertinente al tempio edificato in onore di Traiano.
L’area interessata dagli scavi ha riguardato principalmente il foro di Traiano; per costruirlo, data la ristrettezza di spazio che impediva ogni ampliamento in qualsiasi direzione, l’architetto dell’imperatore, Apollodoro di Damasco, ricorse ad una soluzione coraggiosa. Fece tagliare una parte del colle che univa Campidoglio e Quirinale, la cui altezza era misurabile, come sappiamo da una iscrizione incisa sulla base della colonna traianea, dall’altezza della colonna stessa: il suo punto più alto coincideva con il livello di calpestio dei mercati traianei, come è possibile costatare ancor oggi percorrendo via IV novembre.
L’importanza archeologica dell’intera area è accresciuta, se possibile, dalle memorie del passato remoto di Roma. Del Campidoglio si conoscono storia e leggenda. Dopo l’invasione dei Celti, scesi fino a Roma e data alle fiamme l’intera città, compreso il colle capitolino (la tradizione, soprattutto orale, cercò di cancellarne il ricordo ma della presa dell’arce capitolina da parte dei Galli sono rimaste tracce vistose nella tradizione scritta e nei resti archeologici), iniziata la ricostruzione della città e inaugurato un nuovo piano urbanistico, il Campidoglio venne riservato agli edifici sacri e fu interdetto alle abitazioni private. Inoltre, ai piedi del Vittoriano, sul lato sinistro per chi guarda l’Altare della Patria, è rimasto in piedi un piccolo edificio funerario risalente al principio del I secolo a.C., come attesta l’iscrizione incisa sul podio della costruzione, nel quale trovò sepoltura C. Poplicius Bibulus, assistente dei tribuni della plebe, del quale non si sa niente, che però ottenne di essere sepolto all’interno della città e non al di fuori, come ordinavano le leggi più antiche e le norme igieniche più ovvie, “per essere onorato a motivo del suo valore, per ordine del senato e volontà della plebe, in un luogo che gli era stato destinato a spese dello stato”. La sepoltura all’interno del perimetro cittadino aveva la funzione di ricordare il valore, la virtus, ai cittadini che passavano davanti alle spoglie di Bibulo, la stessa funzione che assolvevano “le urne bagnate di pianto” foscoliane. La vicinanza del Milite Ignoto a G. Publicio Bibulo non poteva essere più motivata.