L’ultimo libro di Joseph E. Stiglitz (premio Nobel per l’economia nel 2001) ha un titolo che al contempo è una sorta di sintesi ed una sentenza scientifica: Bancarotta.
Stiglitz, senza mezzi termini, prende posizione sia per quanto riguarda l’analisi di ciò che ha provocato l’attuale crisi economica sia per quello che dovrebbe essere possibile fare per rinvenire e postulare adeguate soluzioni che, in futuro, possano contemporaneamente essere idonee a ristabilire congiunture economiche favorevoli e per evitare che si possano spavaldamente riproporre comportamenti squisitamente speculativi e distruttori dell’economia reale.
Per quanto riguarda le origini della crisi, Stiglitz le rinviene nelle “teorie economiche errate” che hanno condotto e prodotto “politiche errate”. Il cuore dell’origine della crisi, quindi, deve essere rintracciato nei “dogmi” economici assunti e predicati da certi economisti sostenitori della piena de-regolazione dei mercati, specialmente di quelli finanziari, e nelle operatività di certi politici e di certi tecnici (come Greenspan) che li hanno supinamente adottati e strenuamente difesi anche con l’approvazione di certi prodotti finanziari che avevano la pretesa di gestire e di proteggere coloro che li acquistavano dal rischio emergente dalle operazioni economiche (vedi ad esempio i credit default swap) e che invece lo hanno sostanzialmente ampliato e sciaguratamente anche materializzato.
Tutto questo, a sua volta, si innestava in un mercato che possedeva un eccesso di liquidità e in cui erano praticati tassi di interesse bassi ed anche in presenza di una (non avvertita o comunque trascurata) bolla immobiliare e di un’allegra concessione di mutui da parte delle banche a fronte di prestiti difficilmente esigibili.
Il guadagno facile e immediato è divenuto così una sorta di sirena ammaliatrice che ha portato le banche a trascurare le loro primarie ed originarie operatività per orientarsi, invece, nella “gestione” del turbinio delle scommesse finanziarie e delle politiche di cartolarizzazione dei muti e dei prestiti concessi in assenza di garanzie reddituali future, ma, invece, sostanzialmente vincolati alla “res” (spesso la casa di proprietà del cliente richiedente).
Il tutto veniva condito, da un lato, dalla sostanziale incapacità del mercato di saper apprezzare il livello di rischio di insolvenza delle singole operazioni da cui sortivano le concessioni dei mutui e, dall’altro, dagli sistematici inviti (spesso artificiosamente precostituiti) da parte delle agenzie di rating e delle stesse banche che riguardavano la “bontà” dei mutui e dei prodotti derivati che su di essi venivano imbastiti.
Per molti aspetti, ciò che Stiglitz mette sotto il faro dell’accusa è il modello neoclassico del mercato perfetto, il quale appare come un mercato astratto, con la sua pretesa di ignorare la disoccupazione; di affermare la presenza del razionamento del credito erogato da parte degli enti preposti e dove il valore delle imprese è proporzionato esclusivamente al flusso degli utili distribuiti, e non anche per ciò che esse producono, e senza nessuna considerazione critica sulla qualità e la formazione degli utili stessi e su quanto potessero essere stati “finanziati” da debiti e non da vera ricchezza prodotta.
Conflitto di interessi; tornaconto non circoscritto, ma spesso smisurato; miopia circa i risultati attesi sul mercato (massimo guadagno subito e in ogni caso); snaturamento degli assetti informativi; schizofrenia nelle prospettive e nelle scelte economiche (ove l’economia virtuale ha avuto la capacità di distruggere ricchezza reale e di ridurre la sostanza economica a mero strumento per postulare guadagni immediati per pochi e povertà per molti) sono stati, nell’analisi di Stiglitz, fattivi contribuiti per la nascita della crisi e sostanziale viatico a determinarne il livello di gravità.
Stiglitz è altrettanto critico con le risposte che hanno dato e continuano a dare gli istituti di credito (anche quelli salvati con i “soldi” pubblici) e scorge persistenti ritorni alla speculazione e forse anche il riemergere di banche che “giocano” d’azzardo con altre banche nel tentativo di ripristinare la legge del pesce più grande che mangia il pesce più piccolo, dove, ovviamente, il più grande lo è, quasi sempre, per la sua prepotenza speculativa.
Stiglitz effettua, nel suo volume, anche un’analisi sulle possibili soluzioni della crisi ove traspare la sua preferenza keynesiana e attenta al sociale, e vi dedica gli ultimi due affascinanti capitoli che intendono anche essere un intelligente tentativo ad una riforma della scienza economica verso un economia, per l’appunto, più sociale e maggiormente rivolta all’uomo, ai suoi bisogni e alla socialità del bene comune.
Jolseph E. Stiglitz, Bancarotta. L’economia mondiale in caduta libera, Einaudi, Torino 2010