Siamo davvero davanti ad una nuova stagione di impegno dei cattolici in politica? Sono sufficienti un paio di ministri di chiara provenienza ecclesiale a rilanciare tale stagione? Il libro di Paola Binetti Etica e democrazia – Il contributo dei cattolici alla politica (Lindau, Torino) ci spiega che il percorso è più complesso. La trama – che sviluppa in un volume di oltre 350 pagine – in una prima parte racconta, con sguardo partecipato, il tempo che stiamo vivendo, le sue contraddizioni, le derive laiciste e gli antidoti che potremmo proporre noi cattolici e non sempre lo facciamo. Mentre, in una seconda parte, si affronta, con riflessione ricca e personale, una lettura esegetica dei maggiori documenti sociali della Chiesa, da Leone XIII a Benedetto XVI.
E’ senz’altro la prima parte del libro ad offrire il contributo più originale allo smarrimento attuale di quei cattolici che non rinunciano a cercare il bandolo della matassa che porta alla strada di un autentico impegno politico. Qui Paola Binetti dichiara subito qual è il modello da proporre per intrecciare l’etica con la democrazia: stare dentro al mondo con la propria specificità animata dalla fede cristiana. Così il percorso nei meandri degli insidiosi “diritti umani” muove dal fattore della “libertà personale”, che “rappresenta l’humus che garantisce a questo fitto intreccio di diritti e doveri il senso di umanità di cui abbiamo bisogno, per sentirci riconosciuti e accettati dagli altri con la nostra dignità di persone” (pag. 48).
Già: “persona”, parola cruciale che evoca dilemmi bioetici su cui proprio la chiave ermeneutica dei diritti umani si mostra evanescente se non addirittura “insidiosa”. Alla Binetti tutto questo non sfugge e indica, in chiave laica, il volto dell’uomo sofferente, fragile, altra faccia della Croce, come pietra angolare degli ordinamenti giuridici: “Ogni uomo merita il massimo rispetto perché uomo, indipendentemente da ciò che dice o fa; da ciò che produce e da quanto produce. L’embrione come l’adulto, il malato come il sano, il più intelligente come chi lo è meno, il più povero come chi è ricco… E’ la natura dell’uomo incarnato in una concreta esistenza singolare che merita tutto il riconoscimento possibile” (pagg. 54-55). Di qui lo svuotamento dell’ideologia del gender che “negozia” una carta d’identità sradicata dalla biologia. Il giudizio su una catalogazione universale dei diritti umani, come lo fu la Dichiarazione del 1948, rimane positivo purché si comprenda a fondo che il principio di eguaglianza, che la anima, muove da una laicità intesa come “metodo in cui si è cercato di raggiungere una conclusione condivisa”. Mentre – come affermava l’allora Cardinale Ratzinger – “solo l’ispirazione cristiana conferisce a questi valori forza e attuazione, sia a livello personale sia istituzionale. L’eguaglianza è nel cuore stesso del messaggio evangelico” (pag. 72). Da questa consapevolezza Paola Binetti origina il seguente schema: il linguaggio del mondo è quello dei diritti umani, utile come base di partenza ma incompleto per chi abbia a cuore l’antropologia cristiana, perché incline a interpretazioni fondate più sulla convenzione che non sulla natura; la ricchezza e la lungimiranza del messaggio evangelico però non è comprensibile a tutti, occorre allora riaprire un “Cortile dei Gentili” dove laici credenti e laici non credenti possano ricominciare a parlare, sul presupposto però di un esplicito riconoscimento del contributo cattolico alla costruzione della polis. Ovviamente con tutte le conseguenze del caso: “Occorre insegnare a obbedire alle leggi giuste e a resistere a quelle ingiuste, perché oggi – come ieri – assistiamo anche a questa degenerazione della politica, che si arrende a condizionamenti di piccoli gruppi di poteri” (pag. 88).
E’ una denuncia, una presa d’atto cruciale; un metodo di lavoro che probabilmente è costato a Paola Binetti l’allontanamento dal Partito Democratico. Ma è il “sale” dell’impegno del credente in politica, senza giri di parole. Ma non si creda che il filo rosso di quest’impegno passi solo per i temi eticamente sensibili, come vita, famiglia. Esso si intreccia senza soluzione di continuità con i temi sociali: “Il rapporto tra diritto individuale e responsabilità sociale ha nell’etica della cura, anche a livello delle relazioni tra i popoli, uno dei suoi punti qualificanti” (pag. 95). E’ un’affermazione importante, direi decisiva: non esiste un cattolico di destra o di sinistra a seconda della prevalenza dell’opzione antropologica o sociale, esiste il laico credente che “non rinuncia a misurarsi con le sfide, che non si rassegna alle sconfitte e non attende soluzioni magiche, perché non si tira indietro davanti alla responsabilità della sua umanità” (pag. 97).
Il confronto con il laico non credente è, dunque, serrato, ma – come ricordato – non tutti sono in grado di dialogare: “è proprio del laico tendere continuamente, anche attraverso un processo di purificazione della ragione, a una vera e propria etica dell’intelligenza, prerequisito per ogni dialogo intellettualmente onesto ed efficace. Una laicità che perdesse questa dimensione cadrebbe facilmente in quel laicismo ideologico, che considera il pluralismo culturale aperto a tutti, tranne che al cattolicesimo” (pagg. 109-110).
Al giurista, poi, non possono che suscitare attenzione alcune pagine (112-118) che Paola Binetti dedica criticamente alle tesi del “diritto mite”, quando cioè il diritto debba farsi “debole”, ovvero non possa “intralciare” decisioni che competerebbero alla cosiddetta autodeterminazione del singolo, e ciò a prescindere dalle valutazioni etiche e morali della comunità. La questione di fondo è questa: entro che confini la legge può scegliere al posto dei consociati? E’ solo il criterio del neminem laedere (cioè tutto posso fare, purché non danneggio altri), che deve orientare il legislatore? Il nostro sistema giuridico prevede abitualmente reazioni e sanzioni quando la decisione del singolo nuoce agli interessi degli altri. Quando le scelte individuali non ledono interessi patrimoniali o personali di alcuno restano nell’ambito di scelte libere. Ma l’ordinamento ci ricorda che anche comportamenti non dannosi per altri possono comunque essere illegittimi. Ove, dunque, operi un giudizio di disvalore, anche davanti ad atti non pregiudizievoli per altri, l’ordinamento può apprestare norme di protezione, in nome dell’interesse della comunità nel suo insieme e di chi per debolezza o necessità potrebbe agire contro se stesso.
In questo senso, Dario Antiseri, liberale e popperiano, rappresenta – secondo l’autrice – l’identikit di chi è pronto per un dialogo fondato su una laicità positiva, o meglio “creativa”, seppur con tutta la problematicità di un metodo “moderatamente” relativista: è il confronto fondato su argomenti di ragione (pagg. 123-125). Torna il tema della laicità “forte” e di quella “debole”, per dirla con Giovanni Fornero (pagg. 141-142), dove però al filosofo piemontese sfugge la centralità di una ragionevolezza delle argomentazioni, unica chiave di volta per ripopolare il Cortile dei Gentili: occasione data a Dio di rivelarsi nei frammenti delle molteplici esperienze umane anche a chi, non credente, sappia però mettersi in ascolto (pagg. 153-156).
E allora, al termine di questo itinerario (che si completa, come detto, con una densa carrellata di riflessioni sulle encicliche sociali della Chiesa, pagg. 215-339), alle domande cruciali poste all’inizio, Paola Binetti risponde che dopo Todi non rinascerà la Dc; occorre piuttosto ripartire con un progetto di formazione delle coscienze all’impegno politico da cattolici in ciascuno degli schieramenti che calcano la scena politica attuale (tanto se il sistema politico italiano sarà ancora ad assetto bipolare oppure tripolare, pagg. 345-348). E’ un progetto ambizioso, cui è possibile muovere la critica che la sua attuazione passerà, non solo per l’impegno profuso nel formare coscienze politiche in area cattolica, ma anche per il superamento dell’attuale classe dirigente, ancora arroccata sul retaggio – spesso strumentale – di ideologie appartenenti al passato. Ma il merito di Paola Binetti è anche quello di avere definitivamente archiviato l’ambigua stagione di un cattolicesimo incline ad assecondare la parte politica pubblicamente più vicina alle tesi dell’antropologia cristiana quantunque incoerente sul piano della vita personale: no, conclude Paola Binetti, “la laicità non è autentica se non è prima di tutto coerenza con i valori che le nostre responsabilità familiari, professionali e politiche ci fanno continuamente sentire” (pagg. 349-350). Poiché, in definitiva, “non ci possiamo dire realmente cattolici se ci sottraiamo alle responsabilità che la fedeltà alla nostra fede comporta”.