Ružena Vacková, nata nel 1901, storica dell’arte, critica teatrale e docente alla facoltà di filosofia dell’Università Carolina di Praga, era figlia di un medico che fu tra i fondatori della Croce Rossa cecoslovacca. Discepola di V. Birnbaum, approfondì gli studi di architettura paleocristiana, arte antica e teoria dell’arte. Donna intelligente e coraggiosa, durante la seconda guerra mondiale fu attiva nella resistenza antinazista e rischiò la condanna a morte. Nel dopoguerra collaborò all’apostolato giovanile. Il 25 febbraio 1948 fu l’unica docente a partecipare al corteo pacifico di studenti che a Praga si opposero alla politica comunista che avrebbe condotto il paese nell’orbita sovietica, e furono dispersi dalla polizia.
«Osservate e ascoltate» diceva ai suoi studenti mentre li guidava alla scoperta delle antichità classiche. Paní profesorka consigliava ed aiutava anche concretamente i suoi allievi: «Solo Dio sa quanti di noi ha invitato a pranzo in quel ristorante sulla via Nerudova e quanti malati hanno potuto ricevere delle cure grazie al padre, medico» – ricorda una di loro. «Il nostro tragitto verso l’Istituto di archeologia passava per il Ponte Carlo, che tanto amava. Una volta si fermò a deporre dei fiori alle statue dei santi lungo i parapetti. Rispondendo al mio sguardo stupito disse che voleva ringraziarli per la loro intercessione quand’era stata prigioniera dei nazisti».
All’inizio degli anni 50 le fu proibito di insegnare, fu arrestata e coinvolta in uno dei tipici processi-farsa dell’epoca. Condannata per «spionaggio a favore del Vaticano e degli Usa» e «alto tradimento», trascorse 16 anni in carcere fra detenute comuni, ladre e prostitute, alle quali teneva lezioni di arte e di estetica: «Noi, “non ancora rieducate” – ha scritto una di loro – ci stringevamo attorno alla nostra cara Ruženka e ogni giorno ascoltavamo lezioni di estetica, arte, filosofia. La sua presenza fu per noi una benedizione e una fonte pura in quella cloaca di canaglie».
Le lezioni si svolgevano perlopiù di notte o nei momenti liberi, negli spazi comuni delle camerate, quando le guardie dopo l’ultimo giro chiudevano le baracche fino all’indomani. «Ci ritroviamo nei bagni, ci accomodiamo su sedie di fortuna, ascoltiamo le lezioni e prendiamo appunti con passione… Dimentichiamo il mondo che ci circonda, divoriamo ogni parola, ci sforziamo di mandarle a memoria, di capire. Dibattiamo di teologia, filosofia, arte, politica, non c’è ambito che non ci interessi. I gabinetti sono la nostra agorà, la nostra università, il ritorno alla vita, all’istruzione, alla consapevolezza che questi anni non andranno del tutto perduti… Il nostro entusiasmo è pari a quello degli studenti medievali che con la pancia e la bisaccia vuote giravano il mondo per ascoltare gli insegnamenti di Abelardo… Il problema non era che ci punissero, ma che ci estirpassero il pensiero».
Gli appunti delle sue lezioni si sono salvati grazie a Dagmar Skálová, una detenuta che, a causa di un incidente occorso durante gli interrogatori, ebbe il permesso di indossare un corsetto rigido per la schiena e nel quale nascose gli appunti per anni. Le pagine fitte di testo e disegni, accompagnate da chiose affettuose («I greci avevano la stessa percezione della natura di Růženka») spaziano dall’antico Egitto alla Grecia, da Roma all’arte paleocristiana, dal gotico al barocco fino alle tendenze dell’arte moderna. Possiamo solo immaginare cosa significasse per le sue compagne di prigionia sentire lezioni come questa: «L’uomo gotico anela all’unità con Dio, tutto il suo agire tende a Lui… Anche il rapporto dell’uomo verso i suoi simili è improntato alla misericordia, la quale deve rimediare a ciò che l’uomo, incline al male, è naturalmente portato a commettere; è un uomo consapevole del male che porta in sé… L’umanesimo greco era antropocentrico, l’umanesimo gotico parte dalla Redenzione. L’uomo non è mai solo perché nella sua ricerca lo accompagna Dio presente corporalmente… L’uomo greco, cercando la conoscenza, raggiunse il limite e la mancanza di libertà. Invece l’uomo gotico, accogliendo lietamente il giogo della Croce, divenne veramente libero».
Rimessa in libertà nel ’67, riprese i contatti con la Chiesa «clandestina», fu amica di padre Zvěřina, che la ricorda così: «Un giorno mi portò in sacrestia La cattedrale di Huysmans, perché l’avevo citato in un’omelia.
–Non lo si trova più, e Le potrebbe servire, anche se c’è qualche errore.
–Ne capisce qualcosa? – Chiesi io, giovane prete presuntuoso. Con uno sguardo innocente mi rispose: – È la mia materia! – Così iniziò la nostra amicizia. Non era capace di offendersi. Il momento decisivo della sua conversione fu la morte del fratello e del cognato [uccisi dai nazisti]. Allora le si pose dinanzi il dilemma cruciale: o il nihilismo o la positività, o il nulla o Dio. Verso la fine della sua esistenza terrena fu colpita dall’afasia. “Stare zitti è un dono”, diceva».
Růženka non sopravvisse all’epoca comunista: morì poco prima del Natale del 1982. Fu tra i firmatari dell’iniziativa civile Charta 77, e durante la normalizzazione organizzò seminari artistici clandestini per i giovani.
Quando alcuni conoscenti vollero dissuaderla da queste attività perché ormai anziana, rispose: «Non posso: sono come quei muli dell’esercito, malandati, ma che quando sentono il rullo dei tamburi si alzano di scatto e si mettono a tirare!».