C’è un aggettivo che ritorna puntuale a descrivere, nei momenti cruciali della loro evoluzione, la situazione interiore dei personaggi di questo secondo romanzo di Marco Andreolli: «inerme». Indica la condizione di chi, uscito dall’illusione di poter determinare a piacimento lo svolgimento degli eventi propri e delle persone vicine, accetta stupito ed anche un po’ timoroso che ci siano «più cose in cielo e in terra» che non nel proprio pensiero o stato d’animo. E si abbandona.
Capita a Giacomo, il giovane rampollo dell’alta borghesia milanese d’inizio novecento quando, da ragazzo, vede lo splendore delle Dolomiti e la cordialità silenziosa di un’amicizia adolescente ma autentica, poi quando ha la sorpresa di innamorarsi e quella ancora più profonda di poter ammettere senza recriminazioni di non farcela proprio a mantenere la maschera efficientista che si era costruito. Capita a sua madre quando trova nell’amicizia con una solida valligiana tirolese il coraggio di confessare il gelo interiore che ha dominato la sua vita di moglie formalmente perfetta e non amata. Capita a Johann, il figlio della valligiana, quando diventa amico di Giacomo, quando saluta suo padre che parte per il fronte e quando, in una notte stellata e screziata dagli orrori della prima guerra mondiale, trova una loquacità insolita solo per dire al vecchio amico che combatte dall’altra parte che lui vuol rimanere «inerme» di fronte alla strana dinamica del cuore umano che, ben consapevole dei dolori dell’esistenza, non smette di sperare.
Ma torniamo da capo. Freddo dentro (di Marco Andreolli, Marietti 2012) racconta di un’amicizia: quella tra Giacomo Cassina, figlio di un ricco imprenditore milanese, e Johann Innerkofler, il maggiore dei figli maschi di una famiglia tirolese (siamo agli inizi del Novecento e il Sud Tirolo appartiene all’impero austroungarico) che gestisce un albergo in cui la famiglia Cassina (ovviamente senza il padre, impegnato negli affari) trascorre qualche estate. La prima inermità di cui i due ragazzi, presto inseparabili compagni di scalate, fanno esperienza è quella della natura. Di fronte alle cime faticosamente raggiunte, ai tramonti rosati delle Dolomiti, ai prati, ai boschi, alle rocce, capiscono senza poterselo dire che «qualcosa» di grande, profondo ed immensamente alto li affascina, letteralmente li rapisce.
Poi la vita, come naturale, si complica: gli studi, le ragazze, la politica, il futuro lavoro. Ma nessuno dei due poteva immaginarsi che stava arrivando il devastante sconvolgimento della guerra, che li vede su fronti opposti. Ognuno dei due fa la sua strada. Giacomo si inebria dell’inaspettato potere datogli dalla predilezione di un burbero superiore e poi, cedendo inerme ad un sussulto di sincerità, perde ogni privilegio e viene spedito in una pericolosa prima linea in mezzo a uomini leali e capaci di sacrificio, uomini che combattono senza odiare il nemico o rinnegare lo struggente desiderio della pace. Johann invece si trova dapprima a dover sostituire come capofamiglia il padre che morirà in battaglia e poi a far parte delle truppe volontarie che difendono il fronte sud dall’attacco dell’Italia appena entrata in guerra.
È l’incontro sconvolgente, che ancora una volta lascia inermi, col dolore, la sofferenza, l’angoscia. Infatti, così come il mistero del bello e del bene nella forma dell’amicizia pura e della lealtà, anche il buio dell’ansia (quasi tutti i personaggi si trovano a trascorrere notti insonni attanagliati dall’improvviso attacco del dolore che toglie il respiro, fa saltar fuori dal letto alla ricerca di un po’ d’aria, lascia la mente vuota di ogni pensiero) si abbatte contro una persona inerme, senza possibilità di difesa. Salvo quella di buttarsi in ginocchio e chiedere forza a quel mistero che è ultimamente ciò di fronte al quale siamo veramente, compiutamente inermi, sia che ci travolga con la radiosità di un panorama incantevole, sia che ci ferisca e interroghi col dolore.
È la capacità di pregare che differenzia la famiglia tirolese da quella milanese ed è questa capacità la sorgente della strana solidità umana degli Innnerkofler. Johann ne parlerà nel casuale incontro col vecchio amico che ora combatte a pochi metri da lui e, inspiegabilmente, contro di lui; sta in quella ultima inermità della domanda il segreto della sua umanità, della sua capacità di sperare contro ogni speranza, di ricominciare sempre, di non retrocedere da quell’altezza che è una vita sentita e pensata, inermi, di fronte al mistero. E ormai anche Giacomo è pronto per scoprire, come dicono le ultime parole del libro «che non avrebbe più potuto vivere se non a quell’altezza».