Partiamo da un semplice dato di fatto di attualità che riguarda l’editoria italiana. Senza i libri tradotti buona parte di quanto leggiamo non esisterebbe. Molti libri che abbiamo a disposizione, sia in ambito strettamente letterario che in quello della saggistica, sono infatti traduzioni ed attorno ad essi ruota una parte significativa del mercato editoriale.
Si tratta di una realtà che non può essere negata ed ha fatto sì che nella cultura italiana l’attenzione per i libri tradotti e la traduzione sia progressivamente cresciuta diventando argomento interessante anche per la ricerca. Non solo, negli ultimi dieci anni sono progressivamente aumentati sia i corsi che trattano di traduzione sia i convegni e le occasioni di incontro fra traduttori (per non parlare di liste di discussione, blog ecc.). Cito solo alcuni esempi che conosco più da vicino. Il prossimo fine settimana (28, 29, 30 settembre, per San Girolamo, patrono dei traduttori) si terranno ad Urbino le 10 Giornate della traduzione letteraria, un’occasione di incontro tra traduttori ed editori che è ormai diventato un appuntamento fisso in quest’ambito. Le Giornate sono figlie di uno dei più vecchi corsi di traduzione letteraria: “Tradurre la letteratura” che il prossimo anno avrà la sua diciottesima edizione. In dicembre all’Università di Bologna si terrà un convegno intitolato “Translating figurative language” che vedrà fra i relatori plenari Umberto Eco ed importanti studiosi stranieri. Infine alla Fiera del libro di Torino Ilide Carmignani dedica uno spazio alla traduzione, “L’autore invisibile”, che negli anni è andato crescendo diventando un momento importante della manifestazione.
Quello che è successo è stato l’affiorare nella cultura, ma anche nell’industria editoriale, della convinzione che la traduzione esercita una funzione di gran lunga superiore a quanto superficialmente si può pensare. Un’acquisizione questa cui hanno contribuito gli studi sulla traduzione sviluppatisi in Europa e negli Stati Uniti nell’ultimo trentennio come il lavoro concreto dei traduttori.
Ad esempio è ormai consolidata l’idea che la traduzione è fondamentale nella costruzione dell’identità di una cultura, nei confronti propri e delle altre culture. Lo si può comprendere pensando che l’adottare determinate strategie traduttive può selezionare i canoni letterari stranieri in rapporto ai valori estetici della cultura d’arrivo. Naturalmente questo produce esclusioni e ammissioni che costruiscono il profilo di quella cultura. Inoltre i modelli traduttivi consolidati riescono a fissare stereotipi attraverso cui percepire le culture straniere, escludendo valori, contrasti e conflitti che la cultura d’arrivo non giudica in quel momento rilevanti.
Questo significa che un testo tradotto costruisce un suo proprio valore testuale che non ne fa un semplice prodotto derivato, ma lo costituisce in qualche modo come un prodotto autonomo e originale, per lo meno nella cultura in cui la traduzione appare.
In questo modo le traduzioni trasformano le culture in cui appaiono, riempiendo dei vuoti dei sistemi letterari, permettono alla cultura di arrivo di ristrutturarsi o addirittura di costituirsi secondo canoni estranei alla propria tradizione.
In effetti le storie della cultura e delle letterature sono segnate da questa “intrusione” della traduzione, basti pensare alla storia della letteratura italiana, e sono solo le istituzioni culturali che tendono a nasconderlo. Le storie della letteratura di tipo scolastico cercano di rappresentare la tradizione come un continuum culturale in cui le fratture e le novità sono tutte interne alla stessa tradizione, collocando in secondo piano i contatti, le contaminazioni, le traduzioni e l’eterogeneità che hanno costituito un materiale fondamentale per la costituzione del canone.
Se la traduzione ha una funzione così importante ne deriva che il traduttore svolge un compito molto più attivo di quanto normalmente si pensi. Un fatto questo che, almeno in passato, è stato tenuto nascosto rendendo il traduttore invisibile, se non per i grandi scrittori che traducevano.
Naturalmente questo non significa negare che una traduzione dipenda da un altro testo. Tuttavia, ciò non significa nemmeno che il traduttore sia solamente una specchio sul quale l’originale si riflette per arrivare a un nuovo pubblico. Tradurre è un lavoro affascinante che si distingue da qualsiasi altro. Il traduttore sceglie e organizza i propri materiali, ha una sensibilità più acuta dei rischi e delle opportunità presenti nella comunicazione fra culture e riesce meglio degli altri a prevedere e prevenire i problemi, immagina soluzioni nuove quando quelle che già conosce non lo soddisfano, si pone in modo critico di fronte alle norme che regolano il suo operato.
In breve, i traduttori hanno una conoscenza e delle competenze speciali che sono spesso vitali per assicurare il successo di un testo.
Essi realizzano ciò che Walter Benjamin scriveva a proposito del significato di un testo: “Il senso non si esaurisce in ciò che l’autore ha voluto dire, guadagna, invece il suo significato letterario attraverso il modo in cui ciò che si voleva dire si lega al modo concreto di dirlo, mediante una specifica parola e mai un’altra, diversa da essa”.