Libretto assai agile, Filosofia cristiana e libertà di Josef Seifert, uscito recentemente per Morcelliana, è un testo leggibile a più livelli: con piacere e curiosità da parte degli appassionati di questi temi, oppure con attenzione maggiormente meditativa da parte di chi pratica con continuità il pensiero filosofico. Il titolo esprime in forma asciutta le due parti del volume. Nella prima Seifert distingue ben sedici accezioni diverse dell’espressione “filosofia cristiana”, nella seconda offre rapide ma ponderate considerazioni sulla libertà, sia in relazione alla fede (“Non rimane niente della fede ebraico-cristiana se non siamo liberi”), sia discutendola in sé.
Parlare di filosofia cristiana, annota opportunamente nell’ampia introduzione Gian Paolo Terravecchia, significa ricollegarsi al dibattito che attirò le migliori menti francesi negli anni Trenta del Novecento, a partire dall’incontro pubblico del 21 marzo 1931, presso la facoltà di Filosofia della Sorbona, svoltosi tra il cattolico Gilson e l’idealista critico Leon Brunschvicg. Una discussione che ben presto coinvolse pensatori del calibro di Bréhier, Maritain, Blondel e Chevalier. La discussione si ampliò in breve tempo ad altri Paesi europei, Italia compresa. Terravecchia dedica pagine dense ma lineari al dibattito, ed enuclea su questo sfondo il contributo di Seifert, autore cattolicissimo, fortemente radicato nella filosofia classica, ma aperto al pensiero moderno contemporaneo con il quale mantiene un dialogo franco e aperto.
Tornando alle definizioni di filosofia cristiana, Seifert ne distingue cinque inaccettabili, in quanto a suo giudizio insufficienti o erronee, e undici valide. Tra le prime vengono descritte posizioni ingenue (“filosofia cristiana come filosofia di un cristiano”), fideistiche, parziali (“filosofia cristiana identificata in una determinata scuola”), o gnosticizzanti.
Passando alla pars construens, si comincia dalle definizioni più ovvie: filosofia cristiana come “filosofia compatibile con la fede e la rivelazione cristiana”, o “che tratta temi rilevanti per la fede cristiana”, o “aiutata dalla luce dalla fede”, pur senza intrusioni indesiderate. Non c’è qui lo spazio per entrare nel merito delle varie definizioni, sempre però argomentate in modo pertinente. Alcune sono veramente sorprendenti (filosofia cristiana come “filosofia di menti purificate dalle virtù cristiane” o “analisi delle essenze necessarie dei fenomeni religiosi specificamente cristiani” o ancora “summa”). Il filosofo austriaco da una parte non dimentica il rischio dell’eteronomia (una filosofia cioè che si fa dettare legge dalla religione) e dall’altra ha ben presente che una filosofia autenticamente cristiana non può avere scopi salvifici, come avveniva invece nell’antichità con il platonismo e in particolare il neoplatonismo.
Quella di Seifert è una sintesi utile, quindi, e mai prima tentata con questa completezza e originalità. Altrettanto originale anche la sezione dedicata alla libertà, in cui argomentazioni classiche si alternano ad altre che risentono del kantismo e ad altre ancora debitrici ai maggiori maestri di Seifert, Gabriel Marcel e Dietrich von Hildebrand. In poche, scorrevoli pagine il filosofo austriaco dimostra che “non rimane niente della fede ebraico cristiana se non siamo liberi” e produce alcune stringenti riflessioni sui quesiti “qual è l’essenza della libertà” e − più radicalmente – “la libertà esiste?” Le sue probabilmente sono più “mostrazioni” che dimostrazioni: ci fanno scoprire la libertà nel suo mostrarsi in atto e confutano coloro che la negano. Ma Seifert non è un razionalista. E quindi sa bene che se qualcuno intendesse dimostrare la libertà, essa sarebbe vincolata a ciò che la dimostra, e in quanto vincolata non sarebbe più libera.
(Eugenio Andreatta)