«Non c’è una semplice crisi politica, siamo di fronte a una crisi generale della Repubblica». A dirlo è il Manifesto per una revisione costituzionale, sottoscritto da Raffaele Bonanni, Luca Antonini, Lodovico Festa, Mauro Magatti, Antonio Pilati, Stefano Zecchi che sarà presentato oggi al Senato. Occorre subito, secondo i firmatari, rimettere mano ad una seria riforma federale dello Stato, ispirandosi, dopo vent’anni di manovre inconcludenti e di riforme fallite, a quello che i costituenti fecero nel ’47. «Siamo in una stagione di emergenza dal punto di vista delle riforme istituzionali» dice il sociologo Mauro Magatti a ilsussidiario.net. «Il momento elettorale pone alle forze politiche l’esigenza di lavorare insieme per un assetto istituzionale adeguato e gestibile».
Perché il federalismo come lo abbiamo conosciuto fin qui ha fallito?
La risposta ha a che fare con il fatto che il federalismo si è imposto nel dibattito degli ultimi decenni con una valenza antinazionale. Invece di esprimere l’autentica tradizione culturale dalla quale proviene, che è quella cattolica, orientata all’unità, è stato usato per dividere. Questo equivoco ha nuociuto a tutta la vicenda del federalismo per come ne abbiamo sentito parlare negli ultimi vent’anni. Oggi abbiamo bisogno di un federalismo vero e funzionante. Non solo in Italia, ma anche in Europa.
Dunque il caos che si è prodotto nell’assetto istituzionale è il segno che abbiamo preso la strada sbagliata.
Certamente. Il federalismo è stato fatto oggetto di lotta politica invece che di condivisione prospettica. Confusione delle competenze, moltiplicazione delle sedi di governo e dei centri di spesa, senza che i criteri di valutazione di questi centri di spesa venissero mai attuati, hanno prodotto deresponsabilità e malgoverno. Il risultato sono stati le derive localistiche e l’uso clientelare della spesa pubblica. Il contrario di ciò che si voleva ottenere.
Dove nascono i problemi?
Nella radice culturale cattolica dell’Italia è storicamente sedimentata una visione autonomista e federalista del Paese. Tuttavia nella seconda Repubblica il tema del federalismo è stato usato in contrapposizione all’esperienza storica di governo democratico-cristiana, ed è stato prevalentemente cavalcato da forze politiche che definirei a-cattoliche ed estranee a quella radice culturale. Il tema dell’autonomismo non è leghista, è sturziano.
La Lega, dunque.
No è un caso che la Lega sia radicata nelle aree subalpine del nord e del centro, a forte presenza di cultura cattolica. L’abilità della Lega è stata quella di fuorviare il federalismo dall’alveo della tradizione culturale cattolica, essenzialmente unitiva, e di usarlo in chiave divisiva. I suoi alleati politici non hanno mai discusso questa impostazione, l’hanno assecondata.
E la sinistra?
La risposta data dal centrosinistra, un po’ per rincorrere la Lega, un po’ per le peculiarità stesse di quell’area politica, non è mai stata consapevole del modello sociale ed economico sottostante e di come esso andava cambiando. La composizione di questi fattori ha portato ad un federalismo sbagliato dal punto di vista istituzionale e lontano dal sentire del Paese.
Voltare pagina vuol dunque dire riappropriarsi di un modello «sano» di federalismo. Insomma, non è necessario votare Lega per essere federalisti.
No. Il federalismo è la capacità e la responsabilità di declinare in una forma di Stato la molteplicità originale di questo Paese, il suo essere un insieme di autonomie, di luoghi, di città, di contesti comunitari reciprocamente aperti e solidali, alla luce del senso di giustizia tipicamente cristiano sedimentato nella storia della sua gente.
Ci sono anche le patologie.
Sì: Siena, Parma, la Calabria, sono solo alcuni esempi di come la dimensione locale possa diventare localismo e chiusura. Ma il federalismo non è l’espressione di quelle patologie, né queste sono il suo esito obbligato. L’Italia respira solamente se il modello delle sue autonomie è messo in squadra in modo virtuoso. Solo in questo modo si creano le condizioni perché le patologie vengano contenute e prevalgano i punti di forza.
Se il «miracolo costituente» è stato il genio della prima Repubblica, che cosa occorre fare oggi per de-ideologizzare il federalismo e renderlo un’ipotesi nuovamente plausibile per tutti?
Costruire forme ed esperienze di fiducia reciproca. L’impegno della Costituente è stato possibile, non a caso, dopo i traumi del fascismo e della guerra, ed è derivato dalla capacità della componente di matrice cattolica, che è stata il baricentro della Costituente, di dialogare con le altri componenti culturali di questo Paese in maniera aperta, coraggiosa e orientata all’identità italiana. In questo modo la Costituente ha posto le basi di una riconciliazione tra il Paese legale e il Paese reale. Ciò di cui ci sarebbe bisogno, in condizioni storiche molto diverse, è qualcosa di analogo. Occorre da un lato liberare il federalismo dalle strumentalizzazioni di cui è diventato oggetto, recuperando la sua vera radice culturale; e dall’altro riattivare il circolo virtuoso di fiducia reciproca che tiene insieme persone, gruppi, imprese e istituzioni.
(Federico Ferraù)