Un mese fa Christie’s a New York ha messo a segno il più grande risultato d’asta della storia: vendite che hanno sfiorato il mezzo miliardo di dollari in una sera. Un record ma non un’eccezione: il grande mercato dell’arte infatti in questi anni ha sostanzialmente mantenuto i suoi livelli senza di fatto risentire effetto della pesantissima crisi che il mondo occidentale sta vivendo. All’inizio si diceva che fossero i nuovi ricchi cinesi a spingere i prezzi. Ma nelle ultime aste sono tornati prepotentemente i collezionisti occidentali: un Barnett Newman da 40 milioni di dollari è stato comperato da un collezionista italiano, e si vocifera che si tratti di Miuccia Prada.
Quindi conviene a tutti buttarsi nell’arte? È la domanda a cui cerca di rispondere un libro appena uscito di Claudio Borghi Aquilini (Investire nell’arte, Sperling & Kupfer, 2013), docente di Economia dell’arte alla Cattolica di Milano. Una prima risposta che aiuta a inquadrare il fenomeno in realtà la fornisce Francesco Micheli che firma l’introduzione al volume e che svela il meccanismo su cui si regge questo magico sistema che sembra non perdere colpi. Scrive Micheli: «La connivenza tra direttori di musei, critici d’arte, gallerie, gestori di nuovi fondi d’investimento specializzati, grandi case d’asta, riviste di settore, con il supporto di una propaganda molto attiva, di strategie di marketing e di creazione di brand, riesce a manovrare e sostenere una macchina colossale, in grado di determinare quotazioni iperboliche anche per artisti che si affacciano per la prima volta al mercato».
Un sistema potente e perfetto a servizio di una superclasse globale per i quali l’arte è diventata un obbligato status symbol. Ma il collezionista normale, l’appassionato come deve regolarsi? È a lui che è destinato infatti questo libro, che affronta il tema partendo dalle questioni basilari proprio per aiutare chi legge a procedere con più sicurezza. Il mercato dell’arte infatti è un mercato aleatorio, in cui spesso prevalgono punti di vista molto soggettivi, con valori che cambiano all’improvviso per i motivi più vari: ad esempio il fatto che il Padiglione Vaticano alla Biennale abbia ospitato alcune opere di Tano Festa, un artista romano di grande interesse ma il cui mercato languiva ormai da molti anni, ha fatto immediatamente impennare interesse e prezzi delle sue opere.
Borghi Aquilini quindi cerca di portare il suo lettore collezionista a darsi una consapevolezza solida, senza eludere nessuna questione, neanche quella basica su cosa si intenda per opera d’arte (domanda a cui è dedicato il primo capitolo). Poi vengono affrontati storia e meccanismi del mercato dell’arte, in un percorso lineare e sempre molto comprensibile.
Ma il libro non si limita a chiarire le idee e a fissare dei possibili criteri per chi ha voglia o interesse (nel senso di voler fare un investimento) a farsi un raccolta. Alla fine del percorso Borghi Aquilini prova a immaginare tre possibili collezioni disegnate attorno ad un criterio coerente.
Non è solo un gioco, ma una verifica di come ancor oggi con prezzi che spesso sembrano fuori portata, si possa invece mettere insieme una raccolta d’arte significativa senza dover investire grandi capitali (l’autore immagina di muoversi con un capitale a disposizione di 100mila euro). Il segreto è sapersi muovere tra qualche piccola opera di grandi nomi e qualche grande opera di autori che magari si sono un po’ eclissati. Tra le tre collezioni proposte dall’autore (che in questo caso ha chiesto a Luca Dezzani di fare la selezione delle opere) la più riuscita sembra la seconda, dedicata all’arte italiana degli anni Novanta, che mostra freschezza e anche margini di crescita dal punto di vista dei valori.
Infine, fa piacere notare che nella terza collezione dedicata alla pittura contemporanea internazionale tornino alcuni artisti, come in particolare Andrea Mastrovito, che sono passati da quella fucina di giovani talenti che è stata in questi anni recenti la rassegna Giorni Felici organizzata a Casa Testori.