“La realtà è. L’idea si elabora, si induce… Tra le due ci deve essere dialogo: dialogo tra la realtà e l’esplicitazione che ne produco… I nominalismi non convocano mai. Tutt’al più classificano, citano, definiscono, ma non convocano. Ciò che convoca è la realtà illuminata dal ragionamento, dall’idea e dalla loro percezione intuitiva“.
Queste parole di papa Francesco mi sono tornate in mente quando ho letto, sul Corriere della Sera del 16 giugno, l’articolo di Piero Ostellino sul viaggio del papa a Lampedusa. Perché mi sono tornate in mente? Perché il tentativo dell’articolo di Ostellino, secondo me, è quello di far prevalere l’idea (la sua) rispetto all’evidenza della realtà (il perché della presenza a Lampedusa del papa).
Perché Francesco è andato a Lampedusa? Lo ha fatto per testimoniare e, quindi, per rammentare. La realtà di quel viaggio è stata anzitutto questa: la testimonianza. Cosa testimonia Francesco? Testimonia la ragione (ovvero il perché vero ed ultimo) della natura di quei viaggi: essi sono il metro della disumanità raggiunta dalla politica, dall’economia e da una cultura estremamente tornacontista e miope. Testimonia e sottolinea a tutta evidenza che questa realtà, nella sua complessità, è figlia, prima ancora che dell’indifferenza, del non avere voluto “vedere” le povertà in cui il tornaconto delle economie finanziarie hanno costretto gran parte delle economie sottosviluppate a vivere. Testimonia (e qui sono in accordo con Ostellino) che questi viaggi della disperazione spesso sono una “manna” per l’economia del sommerso, per la malavita. Ma il problema non sono solo i viaggi, ma sono soprattutto l’economia sommersa che evita di pagare anche le tasse e l’industria della malavita.
In questo, il realismo del gesuita non si contrappone punto alla Caritas francescana, ma evangelicamente evidenzia, sottolinea, porta sotto il faro della Verità che la cultura del cinismo e dell’indifferenza è capace non solo di far distogliere lo sguardo dalla realtà stessa, ma soprattutto si presta docilmente a motivare l’impossibilità di interventi personali e collettivi e con questo favorisce l’economia del sommerso, la frode dell’evasione fiscale e la malavita.
Il cristiano è chiamato a giudicare la realtà tenendo conto di tutti i fattori che la costituiscono, e con questa realtà è chiamato a confrontarsi e ad operare. Questo Francesco a Lampedusa ha voluto testimoniare. Perché, in definitiva, “la lotta ha due nemici: il ‘menefreghismo’, mi lavo le mani davanti al problema e non faccio niente, ma così, ma così non sono cittadino. O la lamentela, quello che Gesù diceva alla gente del suo tempo: non li capisco. Sono come i fanciulli che quando suoniamo danze allegre non ballano e quando cantiamo lamenti funebri non piangono. Vivono lamentandosi: fanno della loro vita una continua palinodia” (papa Francesco).
Caro Ostellino, questo Papa, che lo Spirito ha scelto tramite i cardinali, non è il sostenitore di un pauperismo un po’ civettuolo che è stato messo lì per far dimenticare i peccati che offendono la Chiesa dal suo interno. Lo Spirito lo ha scelto (magari nell’inconsapevolezza di qualche cardinale) proprio per prendere, con carità, a calci quei peccati, ma anche quelli che si fanno fuori della Chiesa e che si offrono quotidianamente sull’altare del dio Mammona.
Tutte le citazioni sono tratta dal volume: Noi come cittadini noi come popolo di Papa Francesco edito dalla Jaca Book, la cui lettura suggerisco ad Ostellino (di cui ho grande stima), ma soprattutto a quei politici, sempre pronti ad andare in televisione, che non hanno espresso (almeno così mi risulta) nessun giudizio sulle parole che altri politici (anche del loro stesso partito) hanno espresso sul discorso del Papa a Lampedusa.