Caro direttore,
hoo letto l’articolo di Massimo Borghesi “Don Giussani e l’incontro con Pasolini e Testori” pubblicato dal sussidiario il 4 novembre scorso. Tale articolo mi ha fatto ricordare, ancora una volta, la grandezza di don Giussani, che, in forza della rocciosa e quindi evangelica certezza circa la verità salvifica di Cristo, sapeva cogliere immediatamente il positivo espresso da chiunque avesse a cuore il bene dell’uomo. Così come ho avuto modo di fare memoria di due grandi personalità, scomode ma vere. Ed ho ricordato la commovente omelia di don “Gius” al funerale di Testori, quando, rivolgendosi direttamente a lui, lo ringraziava per avere avuto il coraggio di ricentrare la sua ricerca sulla umanità di Cristo.
C’è, però, nell’articolo, un aspetto che non posso accettare ed è il passaggio in cui il prof. Borghesi, ancora una volta, compie una sorta di revisione storica riguardo a don Giussani, che, invece, mi sembra antistorica. Ho già fatto questa osservazione personalmente a Borghesi dopo un precedente articolo, ma, visto che egli insiste (addirittura sottolineandola) nella sua posizione, mi permetto di rispondergli fraternamente anche in questa sede.
In sostanza, il prof. Borghesi sostiene che dopo il 1968 don Giussani avrebbe cambiato linea pastorale e, soprattutto, culturale, abbandonando il rapporto con la tradizione e affidando tutto all’incontro, “ad una testimonianza cristiana umanamente autentica desiderosa di rapportarsi a tutti e a tutto, fuori da steccati o pregiudiziali di tipo ideologico o politico”. Secondo Borghesi solo questo cambio di linea avrebbe portato Giussani ad incontrare persone come Pasolini e Testori.
Con tutto il rispetto dovuto ad un illustre docente, questa tesi mi sembra non solo storicamente infondata, ma, e questo è più grave, anche sottilmente e inavvertitamente offensiva verso il più grande educatore dello scorso secolo, come lo stesso Borghesi mi pare che abbia definito don Giussani.
Posso, in tutta onestà e coscienza, dire che da sempre don Gius ha dato, in modo sconvolgente, una testimonianza cristiana “desiderosa di rapportarsi a tutti ed a tutto”. E ciò è avvenuto fin da subito, fin dal 1954, quando iniziò la sua straordinaria avventura al liceo classico Berchet di Milano. Ed, innanzi tutto, incontrò noi, che non eravamo “bravi ragazzi” e che avevamo dentro la stessa potenzialità di ribellione di un Pasolini o di un Testori. Non eravamo già cristiani, anzi eravamo molto lontani dal cristianesimo, ma don Giussani si rapportò con noi intavolando memorabili discussioni (talvolta polemiche), che sono rimaste nel ricordo vivo anche di chi poi non lo ha seguito.
Io ho cominciato a seguirlo veramente alla fine del 1957 e non ho più smesso fino alla sua morte e fino ad ora, attraverso il movimento nato intorno a lui. In tutti questi anni, posso dire che don Giussani non ha cambiato linea, anche se ha dovuto affrontare circostanze diverse, che lo hanno spesso portato a parlare di un “nuovo inizio”: ma ne ha sempre parlato non con riferimento ad un cambio di linea, ma come approfondimento costante dell’origine della sua esperienza, che si basava sul rapporto con Cristo dentro la comunità della Chiesa. Altri, intorno a lui, hanno cambiato linea, per spesso finire anche fuori dal cristianesimo. Egli è sempre rimasto fedele a Cristo, “centro del cosmo e della storia”.
Già nel 1954 concepiva l’esperienza di Gs come “nuovo inizio”; già allora concepiva in modo nuovo l’annuncio di Cristo come “avvenimento”; già allora parlava di “incontro” e di annuncio; già allora ci affascinava con il racconto della vita della Chiesa primitiva; già allora (vedasi l’intervista di Robi Ronza) diceva che la Chiesa era solo apparentemente vittoriosa, ma di fatto già dominava la cultura laicista; già allora parlava, solitario, di persona e di esperienza, sottolineando che tutto dipende dall’impegno, appunto, della persona; già allora ogni persona, piccola o grande, ignota o famosa, comoda o scomoda, vicina o lontana, era per lui l’occasione di un rapporto, creativo e generoso, pieno di annuncio della verità cristiana e pieno di carità, “fuori da staccati o pregiudiziali di tipo ideologico o politico”.
E già molto prima aveva “incontrato” Leopardi. Aveva già intuito, prima del 1968, che i tempi erano cambiati e nella crisi vissuta dal movimento e nel cambiamento dei tempi non fece che approfondire la fede imparata in famiglia e approfondita in seminario. Noi “vecchi” abbiamo sempre seguito don Giussani proprio perché non ha mai cambiato rotta: anche dopo il 1968 don Giussani ha combattuto le stesse battaglie dell’inizio, anche se con ancora maggiori difficoltà, perché è sempre faticosa la testimonianza controcorrente.
Si può constatare quanto da me affermato leggendo, come noi “vecchi” abbiamo fatto per molti anni su impulso dello stesso don Giussani, i tre famosi libretti da lui scritti tra il 1959 ed il 1964, ora riuniti nel volume Il cammino al vero è un’esperienza (ed. Sei).
Un nuovo inizio è sempre l’approfondirsi dell’origine, non una via diversa: questo ci ha sempre insegnato don Giussani. Ciò vale per la Chiesa, ma anche per ogni movimento.