Muri anonimi che improvvisamente fioriscono di immagini. Strade, case e quartieri di periferia che cambiano faccia a forza di colori. E tanta gente stupita che cammina a testa in su. Anche per cercare di capire. La street art non è più il fenomeno semiclandestino e antagonista che ci siamo abituati a considerare. In questi anni ha subito una profonda trasformazione che l’ha portata ad essere qualcosa di condiviso; una sorta di amplificatore di sentimenti e di percezioni condivise.
È un mutamento che in particolare è visibile a Roma, dove alcuni quartieri sono diventati dei laboratori della nuova street art, tanto da generare addirittura un turismo “specializzato”. Zone come la Garbatella, l’Ostiense, Testaccio, il Pigneto o San Basilio hanno guadagnato un’attrattività assolutamente imprevedibile. C’è addirittura un’associazione che ha iniziato a proporre visite guidate alle vie dove c’è la maggior concentrazione di murales. Le visite, organizzate dall’associazione RomaFelix, sono affidate ad Ornella Massa, che nella vita è ricercatrice biomedica, ma che da anni monitora con passione la street art italiana (sul suo blog http://sweetartonstreet.wordpress.com/).
Non c’è solo Roma. A Napoli proprio Ornella Massa ha segnalato i lavori di Zilda, artista francese che si è innamorato della città partenopea (tra l’altro propone a volte anche interessanti soggetti sacri). Torino si è mossa da tempo, come dimostra lo straordinario murales realizzato in via Lugaro, da una delle star italiane della street art, Agostino Iacurci (classe 1986). Anche Milano si sta dando da fare, e proprio nei giorni scorsi è stato inaugurato un allestimento molto ambizioso che ha trasformato la Piazza Cardinal Ferrari, nei pressi dell’ospedale Gaetano Pini, grazie agli interventi del duo Orticanoodles e del poeta visivo Ivan Tresoldi. Sempre a Milano già un paio d’anni fa aveva fatto parlare uno stupendo murales di Blu alla stazione di Lambrate, un’opera che interpretava in modo immaginifico un sentimento e un sogno di tutti i pedoni: una gigantesca bicicletta che correva libera sopra un mare di auto.
Ma anche i piccoli centri si difendono bene: a Carrara gli stessi Ortocanoodles hanno lasciato un ammiratissimo murales dedicato alla partigiana Francesca Rolla; a Grottaglie si tiene ormai da anni il più importante appuntamento per street artists, e sui muri della cittadina pugliese se ne ammirano i segni.
Come si spiega un fenomeno di queste dimensioni, capace di raccogliere un inatteso consenso? Il primo fattore ovviamente è un fattore umano. In Italia esiste una scuola che ha fatto nascere tanti talenti che oggi vengono chiamati a lavorare sui muri di tutto il mondo: Blu, Iacurci, Sten&Lex, Eron, Alice Pasquini, Alessandra Senso, solo per citare alcuni nomi. Il secondo fattore è un cambiamento avvenuto nella cultura degli stessi street artists che hanno smesso di concepirsi come incursori anti sistema e hanno iniziato a capire di poter esser catalizzatori di immagini che vengono sentite e condivise.
Così è cambiato anche il metodo del loro lavoro, che avviene alla luce del sole, che è esito di meccanismi partecipativi, che addirittura, come nel caso del recente gigantesco murales (in realtà uno “stancil graffiti”) di Sten&Lex alla Garbatella, è stato finanziato con un’operazione di crowdfunding a cui hanno aderito centinaia di abitanti di quelle vie.
Era stato profetico da questo punto di vista Keith Haring, il leggendario artista americano allievo di Andy Warhol, che nel 1989 aveva accettato con entusiasmo l’invito della città di Pisa a realizzare un grande murales di 180 metri quadri sulla grande parete esterna del convento di Sant’Antonio. Haring aveva capito che in un luogo così pubblico doveva esprimersi con immagini e contenuti condivisi, diversamente da come era abituato a fare nella sua normale attività. Così quel labirinto di 30 figure incatenate tra di loro, sono diventate un simbolo, un’immagine che ha funzionato da legante per una comunità urbana.
Haring con tanto anticipo aveva capito che questa era la strada. Che la pittura murale può dar voce non solo alla rabbia, ma può essere rappresentazione di sentimenti corali e condivisi. Cioè fattore che unisce e in cui in tanti si riconoscono.
Certo, la street art non deve perdere la sua anima corsara, diventando un semplice fenomeno di buon arredo urbano. In qualche modo le sue immagini devono saper sempre prendere in contropiede. Devono piacere ma anche far pensare; devono pungere e stimolare visioni nuove. Come insegna Banksy, il più geniale street artist di questi anni.