Tra gli attacchi che, in modo quotidiano, papa Francesco riceve sulla stampa e nei blog un argomento ricorrente è quello della famosa intervista, rilasciata dal papa, ad Eugenio Scalfari. Una sorta di peccato mortale che un certo mondo cattolico, di orientamento tradizionalista, non è disposto a perdonare. Se la medesima intervista fosse stata rilasciata al direttore de Il Foglio anche le pretese “stonature” dell’intervista, che tanto hanno fatto storcere il naso ai benpensanti, non avrebbero fatto problema. Il problema è lui, l’ex direttore de la Repubblica, il barbapapà nazionale, il volterriano anticlericale maître-a-penser del laicismo. Che il Papa si sia affidato a lui e non a Messori o a qualche altro giornalista cattolico doc è inconcepibile. Così proprio Messori, nel suo discusso articolo natalizio sul Corriere della Sera, “I dubbi sulla svolta di papa Francesco”, torna a parlare dell’intervista a Scalfari ponendola, idealmente, sullo stesso piano della telefonata a Marco Pannella. Espressione di un Papa ondivago che ora difende la tradizione, la Chiesa come corpo mistico di Cristo, ora civetta, invece, con i laicisti, i nemici, i lontani. Un papa inaffidabile, sconcertante, «imprevedibile per il cattolico medio». Così Messori.
La cosa che sorprende, in tanto sconcerto dei “cattolici medi”, è che nel recente passato questo “sconcerto” non ha pesato nei giudizi sui pontefici precedenti quando anch’essi hanno scelto come interlocutori personaggi notoriamente laicisti ed anticlericali. Così Joseph Ratzinger, da cardinale, si impegnò in uno storico incontro dal titolo “Dio esiste?”, il 21 settembre 2000, al Teatro Quirino di Roma, con il direttore di Micromega Paolo Flores d’Arcais, la punta avanzata del laicismo concepito come dogma di vita e di pensiero. Un credito che fu ripagato da Flores con un libretto, edito da Ponte alle Grazie nel 2010, dal titolo significativo La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger. Controversia su Dio.
Nondimeno Ratzinger, a cui si deve nel 2004 il fondamentale colloquio con Jürgen Habermas, il più rilevante intellettuale di sinistra europeo, non esiterà, da pontefice emerito, ad inviare al matematico Piergiorgio Odifreddi, altro campione del pensiero laicista insieme con Scalfari e Flores d’Arcais, una lettera, pubblicata parzialmente su Repubblica il 23 settembre 2013.
Orbene, su questi interlocutori scelti da Ratzinger-Benedetto non risulta che ci siano stati apprezzamenti negativi da parte dei “cattolici medi”. Forse perché la sua posizione sarebbe stata dottrinalmente chiara mentre quella di Francesco sarebbe rimasta ambigua? Questa è — lo sappiamo — la posizione dei tradizionalisti, degli stessi che, regnante Benedetto, dubitavano della sua perfetta ortodossia. Soprattutto dopo l’incontro di Assisi del 27 ottobre 2011 con cristiani di altre confessioni e credenti di altre religioni. Come scriveva allora Sandro Magister nel suo articolo dell’8 ottobre 2011 “I grandi delusi di papa Benedetto”: “In questi ultimi tempi, nel campo cattolico tradizionalista, le critiche contro papa Ratzinger non sono diminuite ma cresciute d’intensità.
E riflettono una crescente delusione rispetto alle attese inizialmente riposte nell’azione restauratrice dell’attuale pontificato. Le critiche di alcuni tradizionalisti si concentrano in particolare su come Benedetto XVI interpreta il Concilio Vaticano II e il postconcilio. Il papa sbaglia — a loro giudizio — quando limita la sua critica alle degenerazioni del postconcilio. Il Vaticano II, infatti — sempre a loro giudizio —, non è stato solo male interpretato e applicato: fu esso stesso portatore di errori, il primo dei quali fu la rinuncia delle autorità della Chiesa ad esercitare, quando necessario, un magistero di definizione e di condanna; la rinuncia, cioè, all’anatema, a vantaggio del dialogo”.
Tra questi critici Magister citava Roberto de Mattei, Brunero Gherardini, Enrico Maria Radaelli e numerosi cardinali e vescovi. E’ lo stesso mondo che ora, immemore delle critiche del passato, strumentalizza Benedetto contro Bergoglio. E’ lo stesso mondo che pone in opposizione Giovanni Paolo II a Francesco. Anche qui con la memoria corta. Si accusa il papa di aver scelto Scalfari come interlocutore, lo si accusa, soprattutto, per gli elogi che Scalfari ha scritto su Francesco. Si dimentica, però, ancora una volta, che non è certo la prima volta che Scalfari elogia un pontefice regnante. Lo aveva fatto anche con un papa da lui duramente avversato, Giovanni Paolo II appunto.
Il 22 febbraio del 1988, dopo un decennio di critiche senza sconti al papa polacco, Scalfari scrisse un articolo, dopo la pubblicazione dell’enciclica Sollicitudo rei socialis, dal titolo “La terza via che Wojtyla ha indicato”. Qui, dopo aver fatto notare che “in apparenza non c’è molto di nuovo nell’Enciclica del Pontefice”, poiché non da oggi è noto il dissenso e la critica della Chiesa sul comunismo e sul capitalismo, nondimeno “alla vigilia del Duemila, queste affermazioni acquistano non c’è dubbio, una diversa valenza”.
Per Scalfari nel crescente divario Nord-Sud, nonché nei problemi irrisolti della distribuzione della ricchezza, risiederebbe l’attualità della prospettiva pontificia anche per la “cultura liberale”. Per questo, concludeva, “Dopo trent’anni d’incertezze e di passi indietro, la linea giovannea viene dunque rilanciata proprio da colui che è sembrato fin qui il suo più efficace avversario”. Scalfari, insomma, nell’anno che precedeva la caduta del muro di Berlino, vedeva in Giovanni Paolo II non più l’avversario, il nemico, ma, al contrario, come documentava il dossier de Il Venerdì di Repubblica del 7 ottobre 1988, un prezioso alleato nella lotta contro l’egemonia capitalista che stava per cogliere il suo trionfo.
Ebbene, di fronte a questo nuovo atteggiamento scalfariano non risulta che il pontefice abbia dovuto patire critiche di “cedevolezza” al nemico. Gli elogi di Scalfari, nel 1988, non suscitarono le preoccupazioni dei tradizional-capitalisti di oggi, di coloro che, al presente, paventano un Papa seguace della teologia della liberazione. Al punto che non si riesce a comprendere se le critiche attuali, così astiose e malevole, siano motivate da ragioni teologiche o, più prosaicamente, dall’occidentalismo ideologico post-’89.
Gli articoli che il Magister di oggi dedica alla scarsa competenza, in materia di dottrina sociale, di papa Francesco farebbero pensare che il problema sia proprio questo. Significativo, da questo punto di vista, è stato il silenzio della galassia anti-Francesco sulla mediazione papale nella grave crisi che divideva l’Occidente dalla Siria, alleata dell’Iran e della Russia. Una mediazione che ha scongiurato una possibile terza guerra mondiale. Silenzio ripetuto in occasione della recente mediazione pontificia tra Usa e Cuba. Come se questa galassia non desiderasse la distensione ma preferisse lo scontro di civiltà, il mondo eternamente diviso in blocchi, la presenza dell’eterno nemico. Donde le critiche al papa per la sua attenzione al dialogo con l’islam, per la sua cedevolezza, per non aver detto che l’islam è il nemico numero uno dell’Occidente.
Queste accuse, questi silenzi, mostrano come le critiche “dottrinali” a Francesco, assolutamente pretestuose, siano la conseguenza di una visione del mondo — sedimentatasi dopo l’89 — che coincide con un occidentalismo ideologico, conservatore sul piano dei valori e liberal sul piano sociale ed economico. Un modello analogo a quello dei conservatori americani, espressione di una parte del potere mondiale. Un modello che non ama Francesco proprio perché non è organico a quel potere.
Il fatto è che, lungi dall’essere allineato alla mentalità del mondo, come viene rimproverato dai tradizionalisti, il papa si colloca fuori, oltre gli schieramenti delle forze in campo. Messori, dal suo punto di vista, ha trovato l’espressione giusta: questo papa “è imprevedibile per il cattolico medio”, laddove il cattolico “medio” è colui che segue la mentalità media. Per questo il vero problema oggi, per la fede della Chiesa, non è certo il vecchio Scalfari, affascinato, malgrado tutto, da quella fede che forse non accetterà mai, bensì l’opposizione di un cattolicesimo ideologico che, senza esserne spesso consapevole, è profondamente subalterno ai poteri del mondo. Quel mondo usa, in Italia, il fantasma di Scalfari per colpire Francesco al punto che il papa diviene, in una polemica insistita, quotidiana, patologica, il “capro espiatorio” di tutti i mali del cattolicesimo odierno, la vittima che deve essere immolata perché la Chiesa torni ad essere unita e forte. Come bene ha scritto Enzo Bianchi: “nessuna illusione: più il papa percorre questa strada e più scatenerà le forze demoniache operanti nella storia e il risultato per i veri credenti sarà l’apparire della croce di Cristo. Non è vero che nella chiesa si starà meglio, è vero il contrario: la chiesa infatti può solo seguire Gesù anche nel rigetto sofferto e nella persecuzione e non potrà ottenere successi mondani se incarna il messaggio del suo Signore” (“Da mille anni nessuno parlava così”, La Stampa, 23 dicembre 2014).