Le personalità individuali, tranne rare eccezioni, hanno sempre costituito un problema per la storiografia. Come inquadrarle? Come espressione della razionalità della storia e perciò piegate al disegno totalitario dell’universale, oppure come manifestazione di una volontà particolare che si oppone ai vincoli universali e accetta, esaltandola, la finitezza umana? Da una parte si pone, per essere schematici, la storiografia di Hegel e l’esaltazione degli individui cosmico-storici come Alessandro Magno, Giulio Cesare o Napoleone Bonaparte, che si mettono al servizio della necessità storica; dall’altra il Lorenzo il Magnifico di Burckhardt che si oppone ad ogni programma “oggettivo” e segna con la sua soggettività creativa il passaggio dal medioevo all’età dello stato moderno, inteso come opera d’arte.
In entrambi i casi, l’individualità eccezionale stabilisce dei rapporti con la società cui appartiene sia perché ne guida l’evoluzione verso il perfezionamento, sia perché ne contrasta la tendenza alla chiusura autarchica e la proietta verso la dimensione dello stato regionale e nazionale.
Ma qual è il ruolo dell’individuo quando nel Novecento la storia diventa una vicenda di masse, una questione di geopolitica e di rapporti tra stati? Nella società di massa il destino dell’individuo si separa da quello della civiltà cui appartiene, per cui non è più la società articolata nelle sue varie componenti e corpi sociali a mediare tra il singolo e le sue aspirazioni, bensì un’entità nuova, fortemente ideologica, che si denomina “partito rivoluzionario” e che intende sostituirsi alla coscienza svuotata dei singoli, riempiendola di proclami, programmi, attività. L’organizzazione sostituisce la coscienza di sé; una parte della società, il partito, si propone di abolire l’altra, che è ancora legata ad una visione generale e a schemi tradizionali. I totalitarismi affermatisi nel secolo che abbiamo alle spalle non mettono alla testa dei popoli uomini eccezionali, bensì soggetti mediocri nei quali le individualità anonime possano riconoscersi in virtù della propaganda che emana dall’organizzazione del consenso.
Una volta usciti dall’epoca dei totalitarismi, ci accorgiamo di quanto siano deboli le democrazie occidentali rispetto a nuovi fenomeni di massificazione che, per fare un esempio, costringono intere moltitudini anonime ad addensarsi sulla sponda africana del Mediterraneo alla ricerca di un’ipotetica maggiore sicurezza e vivibilità che dovrebbero risiedere dalle nostre parti. Le società occidentali, e noi con esse, faticano a trovare il bandolo della matassa rispetto all’emergenza migranti perché ragionano ancora in termini di contrapposizione tra l’interesse degli individui di una determinata collettività e ciò che è chiesto ai singoli in quanto appartenenti alla collettività.
Sono lontani i tempi in cui Lorenzo il Magnifico si rendeva artefice, in nome non solo di Firenze, ma della nascente Italia, ancora divisa in stati, di una politica mediterranea fatta di rapporti reciproci tra la città di Dante e il sultano d’Egitto.
Altri tempi, si dirà: oggi con l’Isis non si dialoga. Eppure a metà del XV secolo non è che i musulmani fossero più teneri, avendo occupato Costantinopoli nel 1453 al prezzo di un massacro generalizzato di popolazione inerme. Ma il Magnifico trattava con il più moderato Egitto che rappresentava la parte dialogante dell’impero ottomano. Sembrano allo stesso modo ancora più lontani i tempi della missione di Francesco d’Assisi presso gli “infedeli” in terra di Marocco e di Egitto (1214; 1219) con la quale si proponeva non appena di dialogare con il sultano Al Kamil, ma addirittura di convertirlo al cristianesimo.
La risposta alle sfide che provengono dall’altra sponda del Mediterraneo non può che avere come premessa il superamento dell’individualismo nel quale i singoli si sono serrati per non vedere e per non sentire altro che le loro paure.
La tensione verso l’altro è costitutiva di ogni comunità che si rispetti e in particolare della natura della democrazia, che per non essere inaridita richiede un assenso non formale da parte di tutti. La storia insegna che è finito il tempo degli individui cosmico-storici che imprimevano sul mondo la loro impronta aggressiva; è iniziato il tempo delle individualità responsabili che nel magma generale ricostruiscono dal basso la ragnatela comunitaria, fatta di opere e di persone che si mettono in rapporto per risolvere i problemi della vita quotidiana. La storia assegna a costoro, cioè a tutti noi, giovani e meno giovani, un compito: rendere evidente che la prima opera d’arte è la persona stessa perché dotata di tante e tali risorse che nemmeno un’invasione di alieni può distruggere.