Facendo seguito a letture disordinate, informazioni diffuse, atti ed eventi anche di estrema violenza, alle parole “diritto” e “Corano” difficilmente il pensiero comune evita di considerarle come un ossimoro di calzante attualità sociale.
Le riflessioni accuratamente presentate nel libro di Domenico Bilotti, Il Diritto e il Corano. Riflessioni a partire dalle letture (Edizioni Erranti, Cosenza, 2016), possono essere utili nella comprensione di un testo e di una cultura i cui obiettivi e lasciti non mirano sempre, come artatamente si cerca di far credere, ad una politica di guerra, odio e disprezzo. Le considerazioni di Bilotti presentano, tramite una possibile ed attenta interpretazione delle sure coraniche, posizioni sorprendentemente tenui e non di rado profili spiccatamente originali.
Doverosa premessa dell’autore, soprattutto destinata a chi si affaccia da neofita alla comprensione del testo, è il chiarimento circa la portata delle riflessioni che seguiranno nella lettura, precisando che si tratta di spunti cui necessariamente, se si voglia avere contezza del testo, deve seguire la lettura del Corano; opera estremamente complessa che sfugge ad interpretazioni quantitativamente e qualitativamente esaustive.
Il percorso scelto seleziona con circospezione le sure da trattare, dando naturalmente, vista la formazione dell’autore, maggiore rilevanza a quelle che offrono una rivisitazione in chiave giuridica, sempre evitando di marcare spunti autoritativi e ultimativi in débâcle occidentalizzate su interpretazioni e metodologie di analisi del testo sacro.
Il fulcro del libro, oltre le argute riflessioni e articolazioni di senso sui profili spiccatamente applicativi e normativi del diritto, si basa sul rapporto e sulla dicotomia che sembra emergere nel Corano tra la libertà individuale e l’obbedienza ai precetti, tenendo sempre ben saldo che per il musulmano il Corano è la pura parola di Allah e che tutto il contenuto è assolutamente vero e valido per tutti.
Le nozioni suddette, ad una valutazione scolastica del Corano, sembrerebbero assolutamente incompatibili e distanti; tuttavia attraverso una lettura attenta e una conseguente interpretazione approfondita del testo, si coglie un invito alla “perseveranza” nell’obbedienza ai precetti, che solo apparentemente destituisce di fondamento la libertà individuale. Le parole di Allah, per chi vi presta sottomissione e fiducia, consentono di “reagire alle difficoltà, rendendo più agevole il materializzarsi delle relazioni pacifiche, diffondendo benessere interiore e materiale”.
Con ciò l’autore non istituisce un parallelismo né una sintesi tra la precettività stringente di alcune sure e la libertà individuale, ma semplicemente mette in risalto una non assoluta incompatibilità e distanza, pur spesso rivendicata.
In generale l’autore sembra voler mitigare e, addirittura, contrastare l’interpretazione radicale e drasticamente negativa del “sacro testo”. Il Corano è ancora frutto di accese diatribe interpretative, e Bilotti evita di assecondare pretese di definitività, offrendo visioni più tenui ed allo stesso tempo maggiormente convergenti con la rivelazione data da Allah attraverso il testo sacro.
Tuttavia, la parte più approfondita dell’agile volume pone le basi per offrire una considerazione alternativa della contrapposizione tra fedeli e infedeli, rispetto a quanti vorrebbero far apparire il Corano come un manuale giuridico dedicato al “diritto penale di guerra”.
Bilotti prova ad evidenziare come alcuni passi, in via di principio esempi fondanti di questo “diritto penale di guerra”, dimostrino al più un attaccamento morale netto, che può essere letto, in alcune sure citate nel libro, come un invito ad essere impavidi e sicuri, piuttosto che feroci, violenti e detentori del potere e della forza.
In conclusione, Il Diritto e il Corano risulta essere un’interessante ed arguta base di partenza per gli appassionati di conoscenza, consapevoli e rispettosi dell’esistenza di un patrimonio intellettuale medio-orientale che non si dimostra superfluo ed inessenziale. La lettura rappresenta un incoraggiamento e un invito alla lungimiranza di quanti non amano servire stereotipi invalsi, screditando a priori altre culture storiche.
Probabilmente eravamo convinti che accettando la televisione e gli altri simboli globalizzati dei consumi, automaticamente i musulmani avrebbero accettato il sovrapporsi di un’altra cultura che rendesse tutti uguali, elementi di un medesimo progetto comune.
Ma così non è stato, e di conseguenza risulta essenziale conoscere, informarsi e dialogare, provando a carpire i limiti e i meriti, i medi e gli estremi di una cultura ricca ed ampia, senza caricare di sanzioni generalizzanti un testo ed un popolo frutto di un enorme bagaglio storico e concettuale.
(Michelangelo Bruno)