Tu chiamala se vuoi, revisione di Saulle Panizza è un lavoro di divulgazione costituzionale in forma di dizionario, come specificato nel sottotitolo. È un libro scritto — come precisato nell’introduzione — “in un momento particolare”, e cioè mentre è in corso un tentativo di ampia revisione della Costituzione. Si tratta della legge costituzionale approvata in via definitiva dalle Camere lo scorso 12 aprile, con la sola maggioranza assoluta dei voti (il 56 per cento al Senato e il 57,3 per cento alla Camera) e che quindi sarà sottoposta — a seguito della presentazione di richieste in tal senso — a un referendum costituzionale, ancora in attesa di essere indetto.
Per questo, le 95 voci elencate nel libro-dizionario sono definite non solo secondo la disciplina costituzionale vigente, ma anche tenendo conto delle modifiche che sarebbero eventualmente apportate se al referendum si registrasse una maggioranza volta a confermare le scelte delle Camere. Tra le voci, tuttavia, ce ne sono alcune non toccate dalla revisione (ad esempio, “Azione penale”, “Consiglio di Stato”, “Consiglio superiore della magistratura”, “Controfirma ministeriale”, “Corte dei conti”, “Dichiarazione di illegittimità costituzionale” ecc.), come alcune altre per le quali si fa esclusivo riferimento alla stessa (ad esempio, “Decadenza da senatore”, “Dovere di partecipazione alle sedute”, “Equilibrio nella rappresentanza”, “Funzione di controllo dell’operato del Governo”, “Funzioni di raccordo”, “Giudizio preventivo di legittimità costituzionale”, ecc.).
Il lavoro si distingue da altri scritti, anche a carattere divulgativo, sulla revisione costituzionale in corso di approvazione, non solo per la sua impostazione come “dizionario” ma anche per tenere insieme il testo vigente e quello che potrebbe diventarlo, fornendo — ci dice l’autore — “una prima interpretazione del cambiamento che potrebbe derivare in caso di prevalenza del sì nel referendum”.
Un cambiamento di cui Panizza, correttamente, non dà una connotazione necessariamente positiva, come fanno coloro che sostengono fideisticamente la revisione in corso di approvazione (anche se — per loro stessa ammissione — di bassa qualità o almeno, secondo i più moderati, amanti dell’eufemismo, “non perfetta”), ma che dalla descrizione, alla quale in sostanza ci si limita, emerge talvolta come positiva e talaltra (più spesso) come negativa, dal punto di vista della linearità, della capacità di rappresentare la sovranità popolare e di consentire un adeguato funzionamento degli istituti (nuovi o riformati).
La caratterizzazione del lavoro, evidenziata dallo stesso Panizza, è quella di “educazione civica o costituzionale”. Una materia almeno di fatto generalmente del tutto assente nella formazione scolastica e che invece tutti i cittadini dovrebbero conoscere. La divulgazione — come spiega Sartori nell’introdurre La democrazia in trenta lezioni (Mondadori, 2008) – è una cosa molto seria e difficile, oltre che utile (e anzi necessaria), proprio perché richiede una semplificazione che non deve trasformarsi in approssimazione. In questo senso il lavoro di Panizza centra l’obiettivo, non richiedendo, tra l’altro, di essere letto necessariamente in un’unica soluzione, ma potendo essere consultato, di volta in volta, da chi abbia un dubbio o una curiosità.
Le 95 voci sono concentrate sulla seconda parte della Costituzione, quella che è stata, negli ultimi anni, maggiormente oggetto di attenzione per essere modificata. Si è diffusa, infatti, da un certo punto della storia repubblicana (tendenzialmente dalla seconda metà degli anni Settanta), l’opinione che la Costituzione avesse bisogno di modifiche, soprattutto (ma ancora non esclusivamente) nella seconda parte. Ciò ha distolto l’attenzione da un lato dalla crisi dei partiti, dall’altro da quell’attuazione di cui la Costituzione ancora aveva bisogno, perché — come disse Calamandrei nel celebre “Discorso ai giovani sulla Costituzione” pronunciato il 26 gennaio 1955 — la Costituzione repubblicana non ha fissato un punto fermo, ma “apre le vie verso l’avvenire” e “perché si muova ogni giorno bisogna rimetterci il combustibile”.
Tuttavia — come ricorda Pizzorusso ne La Costituzione ferita (Laterza, 1999) — dopo la vittoria del centrodestra, in gran parte estraneo ai partiti dell'”arco costituzionale”, nel 1994, gli altri partiti ritennero di “mettere in salvo” la prima parte della Costituzione, sottraendola a qualunque tentativo di modifica (quasi “imbalsamandola”), lasciando che, invece, la seconda parte divenisse oggetto di “scambio politico” e poi addirittura di iniziative di revisione del Governo, come nella fase che stiamo vivendo.
Le 95 voci lungo le quali si dipana il libro vanno dalla “A” di “Amnistia e indulto” alla “Z (lettera)”, che rappresenta l’ultimo punto dell’assai lievitato elenco di materie di competenza legislativa statale (articolo 117, secondo comma), secondo la revisione in attesa di pronunciamento popolare, esaurendo — dopo una breve introduzione — l’intero contenuto del libro, salva l’aggiunta di alcuni indici utili nelle ultime pagine.
Queste voci, al di là della segnalazione delle revisioni che forse verranno o forse no, a seguito del prossimo referendum, danno conto anche delle modifiche da cui gli istituti sono stati nel frattempo interessati. A partire proprio da “Amnistia e indulto”, già oggetto di revisione con legge costituzionale n. 1 del 1992, per proseguire con “Bilancio dello Stato”, rispetto al quale è stata la legge costituzionale n. 1 del 2012 ad apportare la nota modifica del principio del “pareggio di bilancio”, e quindi con “Circoscrizione estero”, istituita — modificando l’articolo 48 della Costituzione — con legge costituzionale n. 1 del 2000 e “Immunità parlamentare”, oggetto di revisione con legge costituzionale n. 3 del 1993, per fare soltanto alcuni esempi.
Ci sono poi tutte le voci sulle autonomie locali, che danno conto delle modifiche apportate — quasi all’intero titolo V della Costituzione — dalle leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001. Quest’ultima è nota come “Revisione del titolo V” ed è stata la prima modifica della Costituzione, peraltro di piuttosto ampia dimensione, approvata — su proposta del Governo — dalla sola maggioranza parlamentare che lo sosteneva, salvo essere poi confermata dal corpo elettorale in un referendum che registrò una davvero bassa partecipazione (34 per cento).
L’attenzione per l’evoluzione dei diversi istituti oggetto delle varie voci, anche attraverso le modifiche da cui sono stati interessati, mostra come evidentemente la retorica di un Paese che non riesce ad approvare riforme “da settant’anni” (come si è giunti recentemente a dire, quasi che alla Costituente si fosse scherzato) sia infondata. L’Italia ha approvato, di volta in volta, le modifiche costituzionali puntuali che riteneva utili e lo ha generalmente fatto con ampie maggioranze parlamentari che hanno assicurato di mantenere quel testo condiviso, capace di unire tutti — al di là delle anche profonde differenze ideologiche e di programma di governo — sin dalla Costituente. Fa eccezione, per ora, la “Revisione del titolo V” del 2001, imposta da una maggioranza (di centrosinistra) a fine legislatura.
Dopo questo episodio ce ne sono stati altri due: nel 2005, quando la maggioranza (di centrodestra) impose la riforma dell’intera parte seconda della Costituzione, bocciata dagli elettori nel giugno 2006, e quella imposta dal governo attualmente in carica, con la sua maggioranza, su cui i cittadini si pronunceranno nelle prossime settimane.
I sondaggi presenti fino ad oggi mostrano che quasi sicuramente il Paese risulterà diviso cosicché dal referendum deriverà o la permanenza della Costituzione del 1947, come successivamente modificata, che ha unito gli italiani (salvo per il titolo V) o una che — almeno per una sua larga parte — li divide. Questo è certamente un rischio di non poco conto, che si sarebbe probabilmente potuto evitare scegliendo un’altra strada sin dal momento della presentazione della proposta, facendola nascere in Parlamento, a partire dagli interventi più necessari e maturi, per una revisione più leggera e condivisa (Pertici, La Costituzione spezzata. Su cosa voteremo con il referendum costituzionale, Lindau, 2016).
In proposito questo libro di Panizza, proprio attraverso i riferimenti anche alle modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione, mette tra l’altro in evidenza come una revisione costituzionale concepita e scritta male non porti alcun vantaggio, ma anzi problemi di funzionamento delle istituzioni. Per questo, nell’esprimersi nel prossimo referendum, i cittadini dovranno, con pazienza e libertà rispetto a considerazioni estranee al contenuto del testo licenziato dalle Camere, compiere una valutazione di merito, decidendo se l’eventuale modifica migliorerà davvero il funzionamento delle istituzioni, anzitutto riuscendo ad aumentare il loro peso nell’assunzione delle decisioni pubbliche e garantendo la linearità di queste ultime e la certezza del diritto.
Da questo punto di vista, pur essendo tutte le voci utili, ci sembra che lo siano in particolare almeno le seguenti: “Camera dei deputati”, “Forma di governo”, “Funzioni di controllo dell’operato del Governo”, “Funzione di indirizzo politico”, “Funzione legislativa”, “Governo”, “Iniziativa legislativa popolare”, “Interesse nazionale”, “Intesa tra i Presidenti delle Camere”, “Maggioranza dei votanti alle ultime elezioni”, “Minoranze parlamentari”, “Oggetto proprio delle leggi”, “Pronuncia a data certa”, “Rappresentanza delle istituzioni territoriali”, “Referendum abrogativo”, “Referendum propositivi e d’indirizzo”, “Riparto di funzioni legislative”, “Senato della Repubblica”, “Sindaci”, “Urgenza della legge”.
La voce su cui, però, anche in ragione del titolo e sostanzialmente dell’occasione in cui il libro è stato scritto, ci sembra opportuno soffermarci è “Revisione costituzionale”. Panizza, dopo avere descritto il procedimento disciplinato all’articolo 138 della Costituzione (che rende la nostra Costituzione “rigida”, cioè non modificabile secondo l’ordinario procedimento di approvazione delle leggi), ricorda le occasioni in cui questo è stato derogato (con legge costituzionale n. 1 del 1993 e n. 1 del 1997), seppure senza esito, non essendo poi il percorso di revisione portato a termine, e il tentativo di deroga compiuto invece, più di recente, con un disegno di legge presentato dal Governo Letta, che tuttavia non ha neppure concluso il procedimento di approvazione, abbandonato come se nulla fosse.
Rispetto al disegno di legge costituzionale d’iniziativa del Governo Renzi, approvato, con alcune modifiche (che sono state soltanto quelle ritenute accettabili dallo stesso Governo proponente), l’Autore riporta le perplessità espresse da alcuni studiosi circa il fatto che il procedimento di cui all’art. 138 sia utilizzabile per “un disegno di riforma che ha riguardato ben 47 articoli della Costituzione, sottoposti unitariamente a referendum”. In effetti, ad esempio, la proposta di procedimento in deroga presentata dal Governo Letta andava nel senso di approvare proposte separate per singoli argomenti (che possono intrecciare naturalmente anche più parti della Costituzione) sottoponendo così le stesse a separati referendum. Tuttavia, a fronte di una proposta unica (certamente inopportuna, ma rispetto alla quale non può che ribadirsi l’assenza di alcun limite giuridico), pare indubbio, in base al tenore letterale del testo dell’art. 138 della Costituzione come della legge n. 352 del 1970, che anche il referendum debba essere unico, non sembrandoci poter avere fondamento la tesi dello “spacchettamento”.
Rimane — lo ribadiamo — una valutazione di inopportunità che, tuttavia, a nostro avviso, risulta ancora più forte rispetto al fatto che l’iniziativa su questa riforma (come, in realtà in casi precedenti) sia stata assunta dal Governo. Questo, infatti, crea inevitabilmente una contrapposizione maggioranza-opposizione e rende la revisione (e quindi tendenzialmente la Costituzione che poi ne deriverebbe) “di parte”, rischiando di dividere il popolo che invece dalla Carta fondamentale dovrebbe risultare unito. Questo fu ben presente ai Governi del periodo costituente. Infatti, il testo della Costituzione nacque in Assemblea e più precisamente nell’ambito di una apposita Commissione, detta “dei Settantacinque” dal numero dei componenti, composta da rappresentanti di tutti i partiti politici, mentre il Presidente del Consiglio dell’epoca, Alcide De Gasperi, svolse, nell’intero periodo di svolgimento dei lavori, soltanto un intervento dal suo scranno di deputato della Democrazia cristiana.
Ci sembra che già da queste sommarie notazioni emerga quindi come questo dizionario possa essere utile anzitutto per chiarire su singoli punti la riforma costituzionale e scegliere quindi tra il sì e il no al prossimo referendum, nel merito, norma dopo norma, istituto per istituto, lontano dai facili slogan e dalle posizioni preconcette, legate a questioni esotiche rispetto al contenuto della legge costituzionale approvata dalle Camere, ma più in generale possa guidare il cittadino nella comprensione degli aspetti fondamentali dell’ordinamento della Repubblica.
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Saulle Panizza, “Tu chiamala se vuoi, revisione”, Edizioni La Vela, Lucca 2016.