A Grosseto, cuore della Maremma, si è tenuta dal 21 al 29 di ottobre la “Settimana della Bellezza”, una manifestazione promossa dalla diocesi in collaborazione con Fondazione Crocevia, Avvenire, la rivista Luoghi dell’infinito e il Comune, che quest’anno è giunta alla sua seconda edizione. In sette giorni si sono concentrate una grande varietà di proposte culturali, mostre, concerti, tavole rotonde, testimonianze. Giovanni Gazzaneo, direttore dei Luoghi dell’infinito, è stato l’animatore di tutti gli eventi della settimana che quest’anno ha avuto come titolo e filo conduttore “I volti della speranza”. E proprio su speranza e bellezza, in apertura della manifestazione, è stato chiamato a riflettere, con una lectio magistralis in cattedrale, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano, che proprio nella diocesi di Grosseto iniziò il suo ministero episcopale nei primi anni 90.
All’iniziativa ha dato un contributo anche la William Congdon Foundation, con una mostra del grande maestro americano allestita nel Polo espositivo e culturale delle Clarisse (e aperta fino al 18 di novembre). All’esposizione, che allinea 28 olii su pannello, fa da corredo il bellissimo catalogo pubblicato dalla Fondazione Crocevia a cura di Giovanni Gazzaneo, che è anche co-curatore della mostra.
Le opere selezionate non sono ordinate secondo un criterio cronologico. Piuttosto, mescolando e accostando dipinti di epoche anche molto distanti, vengono messi a fuoco due figure centrali nella produzione dell’artista: la “carne” e la “terra”. La carne è quella del Cristo crocefisso, di cui sono presentate una decina di versioni, tutte eseguite negli anni 70; la terra è quella della Bassa milanese, soggetto quasi esclusivo dell’ultima stagione della vita di Congdon, tra il 1979 e il 1998, anno della sua morte.
In effetti la vocazione divina della terra e della corporeità — la caro cardo salutis — attraversa come un filo rosso tutto il percorso artistico di William Congdon. A partire dalle vedute urbane e monumentali degli anni 50 fino alla sua ultima stagione, così rinnovata nella luce e nel colore riscoperti nelle marcite, nelle risaie, nei campi d’orzo, di grano e di mais della Bassa lombarda.
Di mezzo sta una singolare e sorprendente meditazione in pittura sul tema del corpo di Cristo crocefisso, in cui croce e corpo non si distinguono mai e dove entrambi sono coinvolti in un processo di consumazione, che è anche consumazione del cosmo, della natura, del paesaggio, del nostro stesso vedere e guardare.
Se è vero che negli esiti estremi l’immagine canonica del Cristo crocefisso non è più riconoscibile, ciò non si deve a una ricerca esasperata di novità o di originalità. Piuttosto, a una profonda immedesimazione, fino a sentirne la contemporaneità, con la Passione di Cristo, non più semplicemente rappresentata ma testimoniata nel corpo stesso della pittura.
Analogo processo di immedesimazione si coglie nelle opere dedicate alla Bassa milanese, dove Congdon ha scoperto una fecondità insospettata nel seguire i ritmi del tempo atmosferico (neve, nebbia, pioggia), delle stagioni e delle colture (marcite, risaie, campi d’orzo, mais e grano). La terra, nel suo costante dialogo con il cielo, è sempre avvertita anch’essa come “corpo”, come dilatazione della passione di Cristo. Le stazioni della Via Crucis sono sempre sottese alle stagioni della terra.
Nelle ordinate partiture di colore dell’ultimo Congdon, la croce rivela semmai la sua duplice valenza: da una parte, simbolo cosmico, del cosmo come “quadratura”, all’incrocio dei due assi, verticale e orizzontale, del pannello. Ma, dall’altra parte, essa rimane il marchio dell’irriducibile singolarità cristiana: il corpo del Crocefisso.
Come suggerisce il titolo della mostra — “TerraCielo” — possiamo dire che nelle opere della Bassa milanese, tutto si gioca sul filo di un orizzonte, l’orizzonte che spartisce terra e cielo in una tensione che è spesso tragica e antagonistica, ma che, con il procedere degli anni, sa farsi anche unitiva-sponsale, soprattutto nei dipinti in cui la linea di orizzonte è, con paradosso estremo, ribaltata verticalmente.
Va poi detto che le opere accuratamente selezionate offrono al visitatore un’occasione preziosa per incontrare un linguaggio figurativo di altissima qualità, con sorprendenti rimandi a grandi maestri coevi su entrambe le sponde dell’Atlantico: da Rothko e Barnett Newman a Burri e Fontana. Come dire, le grandi avventure spirituali del secondo dopoguerra.