LETTURE/ Da Shakespeare a Mozart, Verona “luogo dell’anima”

- Silvia Stucchi

Un bel volume curato da Paola Tonussi, "Sognatori, poeti, viaggiatori. Sguardi su Verona e il Lago di Garda" racconta come la città scaligera sia diventata un archetipo. SILVIA STUCCHI

verona_piazza_erbe_wikimedia Piazza Erbe a Verona

Anche l’autunno regala a volte giornate limpide: e che cosa c’è di meglio, se il tempo regge e un po’ di sole occhieggia ancora, di una gita al lago, magari sul maggiore dei laghi italiani, il Garda, e verso Verona, la fair Verona di Shakespeare?

A questi due luoghi magici è dedicato un prezioso e bel volume curato da Paola Tonussi, Sognatori, poeti, viaggiatori. Sguardi su Verona e il Lago di Garda, Editrice Antenore, 2017. Le pagine ci illustrano la fascinazione che la città attraversata dall’Adige e il Benaco esercitarono per secoli su intellettuali, scrittori, poeti. A partire da Shakespeare, Verona diventa città letteraria, la città di Romeo e Giulietta, dove Dickens, nel 1844, fu condotto a visitare, “tra resti di vecchie mura e tumuli coperti d’edera”, “un bacino” di pietra, presentatogli come la tomba della sfortunata eroina. Dunque, esiste una realtà, modellata sulla tradizione, la suggestione, l’appartenenza di un’opera alla memoria collettiva, di cui è “indelicato”, e in fondo scorretto, dubitare.

La Verona trasfigurata dalla poesia di Shakespeare (Romeo e Giulietta, ma anche I due gentiluomini di Verona) diventa simbolo e segno fondativo dell’importanza dell’Italia, con tutta la sua storia, per l’Inghilterra elisabettiana, e diventa anche la manifestazione di quel progetto generalizzato di appropriazione in prima battuta culturale da parte dell’élite inglese. Ma la città ha un ruolo anche nella poesia di Pound: in Personae (1909), nel Guillaume De Lorris Belated: A Vision of Italy, le città del Nord Italia gli si presentano come donne bellissime. Chiave della poesia è un incontro con Verona: esso emancipa il poeta dal vincolo con la realtà, e gli consente di collocarsi in una visione senza tempo, in un sogno, in cui ricevere una information, una formazione che è anche una iniziazione: tutte le cose sono simboli di altre, e ognuna simbolo molteplice. Poi, nel 1922, Pound ed Eliot trascorsero qualche giorno a Verona, un incontro su cui i Cantos torneranno varie volte. I due siedono al tavolino di un caffè all’aperto, presso l’Arena: tornato a Parigi, Pound produrrà un collage poetico e paratattico dello spettacolo in Arena e della sosta al caffè, soffermandosi sul particolare del “merletto logoro” del polsino di Eliot, dato evocativo del Settecento, che lo qualifica come intelletto raffinato, ma associato al passato. Verona, nella ricostruzione poetica di Pound, diventa così epicentro di un movimento estetico, associata alla volontà di creare una poesia che sia davvero rigeneratrice, non solo melodia estetizzante ma vuota.

Marmi e monumenti fanno da sempre parte del profilo urbano della città, che Boccaccio trasfigurò nel nome, chiamandola nel Filocolo Marmorina: proprio in quegli anni, lo storico Ferreto de’ Ferreti chiamava Verona, per le sue insigni vestigia romane, Urbs marmorea. Alcuni decenni dopo la pubblicazione dell’opera boccacciana, Antonio Marzagaia, scrittore di storia veronese, chiama la sua città Civitas Marmorea e, appunto, anche Marmorina. La città descritta nel Filocolo ha un’aria insieme assurda ed esotica, sradicata dalla realtà, eppure inconfondibilmente tipica dell’Italia settentrionale; verso di essa Boccaccio è attratto, naturalmente, a partire dalla testimonianza di Dante, che parla del “paese ch’Adice e Po riga” (Purgatorio XVI 115).

Invece, per Stendhal, da soggetti di una descrizione banalmente panoramica, ancorché incantevole, Verona e il Garda diventano un “paesaggio dell’anima”, in cui lo scrittore dimostra una istintiva propensione non per le vestigia storiche, ma per le abitudini della popolazione, per il brulichio di vita, nonché per l’arte — che i veronesi gli sembrano possedere in sommo grado — “di andare a caccia della felicità”.

Ma Verona è anche e soprattutto città della musica, a partire dalla visita del Mozart adolescente nel 1770, che si esibì nella Sala della Conversazione dell’Accademia Filarmonica. E poi, soprattutto, c’è l’Arena: con la “prima” dell’Aida nel 1913, con le celebri scene plastiche di Ettore Fagiuoli, si impone, in uno snodo storico delicato, la mitologia del Verdi “popolare”, quando all’aggettivo non veniva associata nessuna idea svilente, ma anzi, quando esso veniva caricato di una grande missione: quella della divulgazione, nel senso più nobile e anche rigoroso del termine, della cultura alle masse, come strumento di educazione ed emancipazione, in accezione ben diversa dal senso che “cultura popolare” prenderà nei decenni successivi.      

Dopo tanta lettura, così piacevole, e così varia, viene davvero voglia di visitare ancora una volta Verona, sotto il bel sole del mezzo autunno.





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