LETTURE/ Il lungo viaggio del “popolo”, dai latini ai populisti russi
In un momento in cui il termine “populista” viene usato con un valore fortemente spregiativo, ecco una utile ricognizione sul valore originario di “popolo”. MORENO MORANI

In un momento in cui il termine populista viene usato con un valore fortemente spregiativo, alla pari di altri termini del linguaggio politico che tendono a definire negativamente o a squalificare l’avversario, può essere utile una riflessione sul valore originario di popolo.
La parola latina populus ha un’origine misteriosa: la etimologie che sono state proposte partendo da radici indoeuropee hanno scarsa affidabilità. Le tribù indoeuropee che dalle fredde lande dell’Europa centro-settentrionale si sono trasferite nelle calde regioni del Mediterraneo o dell’Asia non portarono con sé una parola comune per indicare il popolo. Il mondo greco ha due parole: laós e demos, la prima più generica, la seconda più precisamente indirizzata a una definizione dell’organizzazione amministrativa o militare.
Germani e Slavi crearono termini per popolo partendo da una radice che originariamente significa “crescere, accrescersi”: da qui, attraverso diversi passaggi, la parola tedesca moderna Leute e la parola russa ljudi, oggi usate nell’accezione di “gente, persone”. La parola latina (la cui forma originaria era poplos) ha corrispondenze in altre lingue dell’Italia antica, ma non si ritrova al di fuori di quest’area. Tutto fa pensare che si tratti di un elemento straniero giunto al latino da una lingua non indoeuropea (forse l’etrusco?). Per confermare questa possibilità si osserva che l’originario aggettivo di populus è publicus, formato da una radice diversa (pubes “la gioventù, i giovani”; popularis è parola formata successivamente).
La parola res publica, che diventerà termine fondamentale nel pensiero politico dell’occidente, indica proprio questo: l’organizzazione che si dà il popolo e di cui il popolo è depositario: res publica res populi “cosa pubblica, cosa del popolo”, dice Cicerone nel De republica, e immediatamente dopo prosegue: “popolo non è un insieme di uomini aggregato in un modo casuale, ma una moltitudine radunata sulla base di un consenso del diritto (ius) e di un vantaggio comune”.
Quindi originariamente populus ha una connotazione sia etnica sia amministrativa: populus è l’insieme dei cittadini che formano la civitas, e quindi hanno in comune una serie di valori e di leggi che permette loro di identificarsi in una precisa appartenenza etnico-politica. La parola si distingue tanto da vulgus, che è la moltitudine generica e indifferenziata, quanto da plebs, termine tecnico che indica ciò che rimane del populus una volta che siano stati sottratti i senatori e i patrizi.
Un altro termine collegato a questi è natio, che indica un’aggregazione basata su legami di origine, in quanto la parola è una derivazione di nasci “nascere”, natus “nato”. Poi natio si presta anche a designare un raggruppamento di persone che percepiscono una forte solidarietà e un’appartenenza a un corpo comune: lucifuga et tenebrosa natio, “nazione che rifugge dalla luce e ama le tenebre” erano i cristiani nel giudizio dei pagani.
Nella storia successiva della lingua populus è destinato a scomparire quasi dappertutto: nel suo uso attuale è da considerare un latinismo, o più precisamente un cultismo, vale a dire una parola che non si è trasmessa ininterrottamente nel corso dell’evoluzione linguistica, ma è stata in qualche modo ripescata in un dato momento della storia linguistica per arricchire il lessico italiano, soprattutto il lessico intellettuale. Poi la parola si estenderà anche al di fuori dell’ambito neolatino (per esempio l’inglese people). Tra tutte le parole elencate finora, solamente plebs viene continuata direttamente: sua erede è la parola italiana pieve (e pievano è il responsabile della pieve), e questo la dice lunga circa il radicamento sul territorio e l’attenzione per i più umili da parte della Chiesa.
Infine, un accenno a populismo e populista. Queste parole sono giunte all’italiano attraverso l’inglese populist, a sua volta traduzione del russo narodnicestvo (da narod “popolo”), che designò nella Russia di fine Ottocento un movimento che propugna una forma autonoma di socialismo che si propone di riscattare il mondo rurale dalle condizioni misere in cui versava: il riferimento al popolo opponeva esplicitamente il populismo al marxismo e alle idee socialiste occidentali, che invece guardavano più propriamente al mondo operaio. Da allora movimenti e teorie designate come populiste si sono affacciate più volte in momenti e in luoghi diversi, collocandosi nelle più svariate posizioni dello scacchiere politico, dalla destra all’estrema sinistra. Ma questa è una vicenda che attiene alla teoria e alla storia del pensiero politico, non più all’analisi della parola.
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