LETTURE/ Da Varrone al ponte di Genova, l’”al di là” necessario
Nelle cronache di queste settimane compare tante volte la parola ponte, dopo le tragiche vicende di Genova. Un termine dalla storia sorprendente. MORENO MORANI

Nelle cronache di queste settimane compare tante volte la parola ponte, dopo le tragiche vicende che hanno funestato la città di Genova. La storia della parola ha aspetti sorprendenti. Ponte risale al latino pons pontis, parola diffusa e popolare che viene continuata in tutte le lingue romanze. Risalendo oltre, alla fase indoeuropea, notiamo immediatamente un fatto singolare. La radice a cui si rifà ponte ha assunto questo significato soltanto in latino. In India (pantha-), nell’area iranica, nell’area slava (ad es. il russo put’) abbiamo parole risalenti alla stessa radice, ma tutte col significato di “strada” o “sentiero”, che si presume debba essere il valore originario. Termini simili (al di là di qualche diversità formale) si trovano anche in altre lingue, ma con valori sensibilmente diversi: in greco pontos, che vale mare, in armeno hun, che indica il guado.
Sembra che la storia di questa famiglia di parole si possa seguire come attraverso una nebbia che permette di riconoscere la realtà degli oggetti, ma ne offusca i contorni. La sensazione di difficoltà si accresce se partiamo dalla prospettiva opposta: le lingue indoeuropee non hanno una parola comune per “ponte” e usano termini la cui origine è spesso misteriosa (dal greco géphyra a parole germaniche quali tedesco Bruck e inglese bridge, allo slavo most e così via).
Siamo dunque di fronte al fenomeno che in linguistica prende il nome di tabuizzazione, la cautela nel proferire un termine indicante realtà che suscitano nella fantasia del parlante sensazioni di disagio, perché in esse si percepisce qualche aspetto oscuro, e quindi lo si altera o lo si sostituisce con un altro. In genere vengono tabuizzati nomi di divinità o di fenomeni naturali o di animali.
Ma quale realtà arcana può evocare un ponte? Il ponte collega due rive, e più in generale permette il passaggio fra due territori che altrimenti sarebbero inaccessibili fra loro. Chi percorre un ponte sa quello che si lascia alle spalle, ma non sa per certo quello che incontrerà dall’altra parte, e dunque traversare un ponte significa addentrarsi verso scenari nuovi o sconosciuti. Poiché l’attraversamento del ponte è la via più comoda per superare un ostacolo naturale, i Romani hanno usato la parola comune “strada” per indicare la “via obbligata”. I Greci, abitando in una penisola non molto ricca di risorse, usano la stessa parola per indicare il mare, in quanto il mare era per loro una risorsa essenziale quale mezzo di collegamento (economico e culturale) col resto del mondo.
La prossimità fra ponte e mistero è confermata da un’altra parola, il cui collegamento con “ponte” è tanto sicuro quanto inspiegabile: pontefice. Come dice il nome, pontifex è “colui che fa i ponti”. A Roma il pontefice è un sacerdote di grado elevato che fa parte di un collegio composto da diverse persone (il numero varia a seconda delle epoche): il capo è il pontifex maximus, un esperto della dottrina religiosa il cui compito è quello di richiamare la città ai suoi doveri di culto, perché non venga meno la pax deorum, l’atteggiamento di benevolenza con cui gli dèi guardano Roma. Ma che rapporto può esserci fra un sacerdote e i ponti? Le fonti antiche non ci dicono praticamente nulla e i tentativi moderni di spiegazione non sono approdati a nessuna conclusione definitiva. Un erudito antico, Varrone, afferma che per iniziativa di questo collegio sacerdotale fu realizzato (e più volte restaurato) il ponte Sublicio, il primo ponte sul Tevere che univa le due parti di Roma e più in generale costituiva un importante punto di transito anche per viandanti e mercanti: questo ponte era adornato di immagini sacre e vi si svolgevano cerimonie. Ma si tratta di spiegazione piuttosto povera, perché in realtà in epoca storica non risulta nessun legame effettivo fra ponti e pontefici.
Dobbiamo quindi accontentarci del poco che sappiamo (a fronte del moltissimo che non sappiamo) e limitarci a sottolineare come nella mentalità primitiva il ponte evochi una misteriosa presenza di forze che trascendono l’umano, tanto da consigliare, per mantenere il controllo su tali forze e propiziarle, un legame stabile col mondo della religione.
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