LETTURE/ Chi guida la nave segua Platone: una lezione per chi governa
In modo significativo, la parola “governo” viene dal greco “kybernáō”, che significa pilotare una nave. Non solo per mare ma anche sulla terra, e cominciando da se stessi

Oggi la parola governo si usa normalmente come termine politico, per indicare l’organo che ha il compito di deliberare provvedimenti e determinare la linea politica di uno Stato. Il verbo collegato è governare. Il sostantivo è definito dai linguisti come un deverbale a suffisso zero: governo infatti è tratto da governare senza alcun suffisso (mentre in francese a gouverner corrisponde gouvernement, con suffisso): tra governo e governare intercorre così lo stesso rapporto che si ha tra destino e destinare o tra conteggio e conteggiare.
La parola ha cambiato significato nel corso dei secoli. Essa viene dal latino gubernare, che a sua volta è mutuato dal greco kybernáō. Quest’ultimo dunque deve essere il punto di partenza per l’analisi. In greco kybernáō significa “pilotare una nave”: kubérnēsis è la guida della nave e kybernétēs è il timoniere (o chi comanda l’equipaggio). La parola è di origine ignota e non fa parte dall’eredità lessicale indoeuropea, anche perché gli Indoeuropei, pastori provenienti probabilmente (ma chi potrebbe dirlo con certezza?) dalle pianure dell’Europa centro-orientale, difficilmente saranno stati pratici di navigazione, e quindi le tribù indoeuropee calate in Grecia presumibilmente raccolsero la parola (e impararono la tecnica della navigazione) da una qualche popolazione già residente nel territorio.
Kybernáō raramente si usa al di fuori del linguaggio marinaresco. Come si arriva dal valore originario a quello attuale? In molti testi greci è presente la similitudine dello Stato paragonato a una nave: per procedere nella navigazione, si esige perizia e nervi saldi da parte di chi disegna la rotta e disciplina da parte dell’equipaggio, e spesso la discordia fra i cittadini è assimilata al mare in tempesta. La metafora è presente in molti autori: poeti come Archiloco o Alceo, tragici come Eschilo (“deve dire parole adatte alle circostanze chi guida lo Stato reggendo il timone, e non deve chiudere gli occhi al sonno”, nei Sette contro Tebe), filosofi come Platone (che nel Politico afferma che il nocchiero, come l’uomo politico, non deve tanto rispettare le regole, quanto affidarsi alla propria perizia), storici come Polibio, il quale nota (VI 44) come gli ateniesi siano inclini all’indisciplina e alla riottosità come una ciurma indocile, e siano capaci di fare fronte comune solamente se vi sono pericoli gravi da fronteggiare.
Ripreso in latino, gubernare assume sempre più spesso il valore di “guidare lo Stato”, ma il valore originario permane sia nel verbo sia nei suoi derivati, quali gubernator “pilota della nave, ma anche governatore”, gubernatio “il comando di una nave o dello Stato”, gubernaculum “il timone, la cabina di comando della nave, e anche il governo di uno Stato”.
Siamo dunque di fronte a un caso in cui una metafora è risultata talmente immediata e popolare da cambiare il senso originario della parola. L’immagine ricompare per esempio in una nota ode di Orazio (I 14) e in un’appassionata pagina di Agostino, dove, richiamando un episodio del Vangelo (Mt. 8,26: Gesù comanda ai venti), la metafora non è applicata alla politica, bensì alla vita umana, trascinata fra tempeste e passioni, e Cristo è il nocchiero a cui rivolgersi per ottenere la salvezza (Commento al Vangelo di Giovanni, 49). Poi ancora nell’esclamazione di Dante: “Ahi, serva Italia, di dolore ostello, / nave senza nocchiero in gran tempesta” (Purg VI 76 s.).
Nell’epoca moderna governo e governare vengono usati in modo più ampio, e l’azione di governo si esercita anche su oggetti (governare la casa o i campi) o su persone, come appare dal participio presente del verbo, il cui femminile (la governante) si è specializzato a indicare una donna a cui sono affidate mansioni di cura domestica o una funzione di supporto nella formazione ed educazione di giovani.
Infine, una ripresa diretta del termine greco si ha nella parola cibernetica, termine coniato nel 1947 dallo scienziato statunitense Norbert Wiener, per designare una scienza interdisciplinare che si propone il controllo di sistemi complessi, animali o artificiali, attraverso elaborate teorie e calcoli (Cibernetica o controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina è precisamente il titolo del libro di Wiener). E qui la funzione di governo passa dagli umani alle macchine e agli automi.
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