LETTURE/ Europa, ciò che non ha funzionato e l’avvertimento di Havel

- Marco Lezzi, Max Ferrario

In un recente incontro pubblico organizzato dal Centro culturale di Milano si sono confrontati sulla crisi europea Antonio Polito e Joseph Weiler

europa_ue_commissione_bandiere_lapresse_2015 LaPresse

Qualche giorno fa, a margine di una conferenza in Germania, uno dei due autori si è trovato a cena con un inglese, un ungherese, un tedesco e un americano (non è una barzelletta, ma un piccolo episodio realmente accaduto). Tutti rispettabili ricercatori universitari e persone apparentemente “moderate” e ragionevoli. Si è incominciato a discutere della situazione europea e tra Brexit (“Come finirà? Non lo so – risponde l’inglese – penso che nessuno davvero lo sappia… comunque in ogni caso finirà male…), l’ungherese Orbán, i grillini nostrani che incontrano i gilet gialli che mettono a ferro e fuoco gli Champs-Élysées ed altre recenti vicende analoghe, al termine di un primo giro di tavolo la situazione europea appariva davvero complicata. Tanto che l’americano (tutt’altro che un fan di Trump) sorrideva distaccato dall’alto della sua disoccupazione al 3,8% e della prospettiva del disimpegno americano sullo scenario globale (America First). Poi a un certo punto il tedesco aggiunge: “La Merkel deve smetterla di puntare su Macron, quello parla parla ma non fa niente. Frau Merkel dovrebbe fare un’alleanza con l’Italia, voi – rivolgendosi all’italiano – sareste la parte folkloristica e noi il martello pneumatico”. Al che interviene un austriaco rimasto fino a quel momento ai margini della conversazione e dice: “ma che alleanze tra due Stati! L’Europa non dovrebbe essere un’alleanza tra tutti gli Stati europei, altrimenti l’Europa che cosa è?”. Già, che cosa è davvero oggi questa Europa se nemmeno a una tranquilla tavolata di ricercatori “moderati” si riesce a convenire su un’unica direzione, un percorso chiaro e già tracciato?

Si potrebbe partire da questo aneddoto, nel suo piccolo alquanto rivelatore, per riprendere alcuni spunti emersi da un recente incontro pubblico a Milano. A partire dall’introduzione di Lorenza Violini, costituzionalista dell’Università Statale di Milano, che introducendo ha richiamato il discorso di Papa Francesco in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno (6 maggio 2016) dove domandava: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.

A questo domanda così drammatica hanno provato a rispondere Joseph Weiler, insigne giurista e docente della New York University Law School, e Antonio Polito, Vicedirettore del Corriere della Sera.

Weiler ha innanzitutto chiarito che non ritiene la maggioranza dei cittadini europei né “scemi”, né fascisti, con riferimento al successo dei movimenti populisti/sovranisti.

Il secondo ha poi sottolineato che l’Europa come progetto di Unione ha forse fallito nell’ultimo decennio sulle grandi crisi che doveva affrontare: sociale, bancaria, migratoria, sulla sicurezza e la sfida del terrorismo.

Su analoghe considerazioni si era soffermato qualche settimana prima Mario Draghi, presidente Bce, che nel suo recente discorso all’Università di Bologna in occasione del conferimento di una laurea honoris causa lo scorso 22 febbraio ha evidenziato il fatto che negli ultimi anni se è cresciuto a livello europeo l’apprezzamento per i benefici economici dell’Ue, dall’altro è drasticamente calato (dal 57% al 42%) il giudizio positivo politico sull’Ue e sulle sue istituzioni. Come mai? Draghi lo spiega poco più avanti, in un discorso significativamente intitolato “La sovranità in un mondo globalizzato” (nonostante il suo autore non sia di certo annoverabile tra le fila dei cosiddetti “sovranisti”), laddove ha auspicato un adattamento delle istituzioni europee alla mutata situazione socio-politica mondiale.

Un adattamento, dice Draghi, che finora è mancato “per una riluttanza che ha generato incertezza sulle capacità delle istituzioni di rispondere agli eventi e ha nutrito la voce di coloro che queste istituzioni vogliono abbattere”. Per poi affermare perentorio: “Non ci devono essere equivoci: questo adattamento dovrà essere profondo, quanto lo sono i fenomeni che hanno rivelato la fragilità dell’ordine esistente e vasto quanto lo sono le dimensioni di un ordine geopolitico che va cambiando in senso non favorevole all’Europa”.

Se a dire queste cose è il presidente della Bce e non l’ultimo dei populisti nostrani, forse davvero qualcosa nell’Ue non ha funzionato in questi ultimi anni e urgono cambiamenti “profondi” e “vasti”. Per Draghi, ultima citazione, “non c’è che una risposta: recuperare quell’unità di visione e di azione che da sola può tenere insieme Stati così diversi”. D’altronde, se non è l’economia sotto accusa, è proprio recuperare questa “unità di visione” (cioè di direzione e di scopo) e di “azione” (cioè di risposte concrete ai bisogni reali, non immaginati, delle persone) che l’Europa deve riscoprire. Occorre riscoprire, come diceva Jean Monnet già nel 1965, che “abbiamo bisogno di un’Europa per ciò che è essenziale… un’Europa per ciò che le nazioni non possono fare da sole”.

Ma i due interlocutori dell’incontro milanese (Weiler e Polito) non si sono fermati a tratteggiare cosa non ha funzionato nel progetto europeo negli ultimi anni (almeno dal 2005, secondo Polito, cioè dal referendum francese che ha respinto la Costituzione Ue ed è “come se avessimo smesso di pedalare”), e oltre a dichiarare il “deficit democratico persistente” dell’Ue e a dichiararsi “pessimisti”, hanno tracciato una strada.

Weiler, per esempio, ha affermato che “occorre un significato alla vita, qualcosa che va al di là del mio interesse materiale personale”. E per l’Europa questo significato era rappresentato dall’equilibrio dei suoi due pilastri storico-culturali: Atene/Illuminismo, Gerusalemme/Roma. Oggi questo equilibrio si è rotto, con l’indebolimento del secondo pilastro: se tutto diventa mercato, insomma, possiamo continuare a chiamare ancora questa cosa Europa, ma forse non è più la vera Europa. Anche per la Ue occorre dunque una ragione per vivere, un significato più ampio dei singoli interessi materiali che inevitabilmente sono soggetti a variabili spazio-temporali e quindi a non durare nel tempo.

Un po’, d’altronde, come già prefigurato tempo fa da Václav Havel in un suo discorso da presidente della Repubblica Ceca in occasione del conferimento della laurea honoris causa al Trinity College di Dublino (Irlanda), 28 giugno 1996: “Non posso non ricordare il poeta ceco Vladimír Holan che un tempo ha scritto: ‘senza un puro trascendente nessuna costruzione sarà mai terminata’. Dunque, in altri termini: questa ammirevole costruzione europea possiede il suo trascendente? Non ne sono del tutto sicuro […] Voglio dire che l’Europa che si sta unificando deve di nuovo trovare, prenderne consapevolezza e in un certo modo articolare la sua anima, o il suo spirito, la sua idea, il suo senso e il suo ethos interno”.

I prossimi mesi saranno ricchi di domande verso la politica, verso chi si candiderà a rappresentare gli elettori in Europa. Weiler ha ricordato il coraggio di John Fitzgerald Kennedy che insediandosi alla Casa Bianca nel 1961 disse: “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Oggi quanti avrebbero il coraggio di proporsi così ai propri concittadini? Non si tratta, quindi, di riscoprire i “valori” alla base dello spazio di libertà europeo. La posta in gioco è molto più alta. L’Europa, cioè ciascuno di noi, riuscirà a riscoprire questo nesso con il trascendente, questo “significato della vita”, che vada oltre i meri interessi materialistici di parte e richiami tutti i cittadini alla propria responsabilità? La sfida è aperta.

Marco Lezzi
Max Ferrario






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