Napoli era al tappeto. Erano dieci anni che le mamme in dolce attesa tappezzavano di rosa le stanze delle nasciture. I papà erano contenti, certo, ma non riuscivano a nascondere del tutto un velo di profonda insoddisfazione. In qualche modo stavano fallendo. Per non parlare dei nonni, che avevano la stessa aria uggiosa del Vesuvio a novembre. Tutti si facevano i fatti di tutti. I vecchietti si incontravano al bar, senza darsi nessun appuntamento: bevevano qualcosa, fumavano un sigaro e giocavano a carte. I nervi, però, erano più tesi che mai; il tarlo era uno: “ah tua nuora è incinta? Che bella notizia, tanti auguri allora! Speriamo che sia maschio!”. Prima di pronunciare questa frase, che usciva rauca e strozzata dopo una chiara tortura delle corde vocali, il più caratteristico dei gesti indirizzava indice e mignolo a terra, prima che l’ultima sillaba potesse scivolare sul palato.
Per una città come Napoli l’erede maschio era importante come la schiuma sul caffè o la vittoria sulla Juve. Per i napoletani la storia è già scritta: matrimonio, figlio maschio, zepponta. È una strada a senso unico, una tradizione che risale all’era paleolitica.
Gennarino era un bel giovane di San Giovanni a Teduccio. Sfiorava il metro e novanta, portava la barbetta incolta molto di moda in quegli anni e faceva il venditore in una bancarella di scarpe al mercato di Poggio Reale. Non era fidanzato né sposato, amava la bella vita, le moto e le belle donne. Era il cocco di mamma Gemma che lo nutriva con timballi di pasta e polpette al sugo nel pane, pecché Gennarino suo lavorava tropp’assaj e rischiava un calo di pressione. La domenica andava allo stadio, intonava i cori e si lasciava trascinare dall’entusiasmo dei partenopei. Immaginate di ricalcare un trapezio isoscele con una matita: ecco, la vita di Gennarino si riassumeva in quei 4 spostamenti medesimi e abitudinari.
La sua famiglia occupava un’intera palazzina: dal primo all’ultimo piano, il suo tris-nonno, anch’egli Gennaro ovviamente, aveva pian piano acquistato appartamenti per tutti i discendenti. Così che, dal basso verso l’alto, era possibile trovare: il tris-nonno Gennaro con la tris-nonna Carmela, il bis-nonno Pasquale con la moglie Beatrice, il nonno, anch’egli Gennaro, con la moglie Titina e i genitori di Gennarino, Pasquale e Gemma con questo figlio ancora a carico. Inutile precisare che l’appartamento per Gennarino era già pronto dalla sua nascita, così come la culla e il corredino per suo figlio. Nonna Titina, che era un’abile ricamatrice, aveva già adagiato nella culla una copertina celeste pastello con su scritto: “Benvenuto Pasquale”.
Gennarino, del tutto alienato da tutto ciò, continuava la sua routine nella più beata indifferenza: non era insensibile, ma viveva un po’ tra le nuvole e, oltre a non prestare ascolto alle notizie di cronaca, era anche incurante delle pressioni e dei malcontenti dei suoi familiari.
La vendita dei fiocchi rosa ebbe un picco tale che la creazione di fiocchi personalizzati divenne il lavoro più retribuito dopo l’ingegneria informatica.
Quella grande “sciagura”, come la chiamavano, non solo rischiava di estinguere il genere maschile, ma più nello specifico l’Ommo vero, espressione della napoletanità nel mondo. Era un fenomeno che avrebbe dovuto smuovere associazioni tipo il Wwf, eppure i media non erano così in allerta, almeno non più di quanto lo fosse Gennarino.
In realtà, una ragazza che gli piaceva assai lui ce l’aveva e come. Si chiamava Isabella, faceva l’estetista ed era un’abile danzatrice di flamenco, disciplina che le aveva insegnato mamma Ines quando era bambina. Gennarino l’aveva conosciuta in un locale in cui era finito per caso col suo migliore amico, Ciccio, una sera d’estate in cui proprio non sapevano che fare. Gennarino e Isabella si frequentavano già da tempo, ma lui, con tutto che ci teneva tanto, non stringeva la corda perché non era ancora il momento di rinunciare alle accortezze di mamma Gemma, e chissà se sarebbe mai arrivato.
Trascorsero altri 2 anni senza che le acque si smuovessero di una sola virgola. L’aggravante di questa paralisi erano le nascite: ancora fiocchi rosa, ancora padri e nonni che trovavano solo la forza per pronunciare: “Uh maronn’mij, aiutaci tu”.
Senza rendersene conto giunse il Natale, il quarto per esattezza senza Pasqualino, perché a Napoli, quando una cosa è particolarmente sentita, si conta in questo modo. La famiglia di Gennarino aveva organizzato il cenone a casa del Tris-nonno Gennaro senior e, per l’occasione, aveva riunito anche tutte le sorelle e le cugine con i rispettivi coniugi e le figlie femmine avute dal matrimonio. Tutte bellissime, per carità, ma il pensiero di Pasqualino, da solo, bastava a soffocare quella gioia.
Gennarino, con grande sorpresa di tutti i commensali, si alzò in piedi e disse: — Volevo fare un’annunciazione a tutti quanti pecché è difficile che ci vediamo di nuovo tutti assieme presto…Vi volevo dire che mi sono fidanzato ufficialmente con una ragazza di Portici che si chiama Isabella e l’anno prossimo ci sposiamo.
I nonni furono i primi a sobbalzare e a saltare come se avessero vinto la lotteria Italia. Quella notizia venne accolta con la stessa gioia con cui un assetato che vaga nel deserto scorge un’oasi in lontananza. I pensieri avevano già scavalcato le nozze del povero Gennarino, e si erano posati sulla parete dove, a breve, sarebbe stata incorniciata la foto dei 2 Pasquali col piccolo Pasqualino.
Tra uno struffolo e un rococò, nonna Lucia aveva chiesto di accendere il notiziario e di aspettare l’inizio della santa Messa che sarebbe stata trasmessa di lì a poco. Al notiziario, però, accadde qualcosa di incredibile: una giornalista intenta ad intervistare i titolari di una mensa per poveri, fu interrotta da una signora di mezza età, con gli occhi corvini e i capelli grigi corti e un po’ all’insù. Somigliava lontanamente alla strega della “Sirenetta”, un’associazione che trovava giustificazione nel suo nome molto poco scontato. La signora, infatti, si chiamava Ursula Annunziata e faceva impressione quasi quanto quella originale.
— Signora giornalista, mi dispiace interrompere, ma devo dire una cosa a tutta Napoli. È San Gennaro che mi manda e la Madonna m’accompagna, sempre sia lodata .
La giornalista rimase un po’ di stucco, ma senza che avesse il tempo di decidere, le lasciò il microfono e la telecamera puntò fissa su di lei.
— Come ho già detto prima, mi manda San Gennaro e la Madonna mi accompagna e accompagna pure a tutti voi, sempre sia lodata. La situazione si è fatta disperata assaj, ma voi non dovete temere pecché San Gennaro non ci lascerà mai soli e ha trovato il modo di fare andare via questa jella terribile che si è abbattuta su questa città e che non c’ha fatto nascere più un figlio maschio. È tutto finito, state senza pensier’, ma dobbiamo impegnarci tutti per fare sì che accada una cosa: a Napoli ci sta solo una femmina nata il 9 aprile del 1982 sotto il segno dell’ariete; è nata alle 18 di domenica al secondo policlinico e quindi è ascendente leone. A Napoli c’è solo un uomo nato il 10 gennaio 1980 sotto il segno del capricorno; è nato alle 4 del mattino e quindi ha l’ascendente pesci. Questi due giovani ragazzi possono e devono salvare Napoli per riportare le cose normali com’erano, perché altrimenti questa maledizione non finirà, e per farlo, devono dare al mondo un figlio che nascerà maschio e si chiamerà Salvatore. Sarà il primo di tanti figli maschi e di tante famiglie felici. Diciamo tutti grazie a San Gennaro e alla Madonna che sempre ci accompagnano e non ci lasciano mai soli! Buon Natale a tutti voi e alle vostre famiglie.
Napoli era in delirio. La gente aveva anticipato il capodanno sparando in aria i fuochi di artificio acquistati per il 31 dicembre. La maledizione praticamente era già rotta, finalmente avevano una via d’uscita, per giunta garantiti da San Gennaro e dalla Madonna, quindi liberi di lasciarsi trascinare da quell’entusiasmo virale che aveva invaso la città, manco avessero vinto lo scudetto.
I nonni “Gennari” e i nonni “Pasquali” erano finiti in un girotondo di allegria mentre le donne intonavano le note di “o’ surdato nnammurato”, tutti sentivano già il peso del piccolo Pasqualino tra le braccia, tranne il povero Gennarino, che era disteso al suolo con un viso estremamente pallido e sudato, come se avesse mal digerito gli spaghetti con le vongole e gli scampi e tutte le portate successive.
— Gennarino a’ mammà ma che t’è succies? Non ti senti bene? vuoi una cosa calda? Che è stato Gennarì parla cu’ mammà toja!
Gennarino aveva improvvisamente perso tutte le parole, ormai c’era solo un pensiero che aggrediva i suoi pensieri: l’unica ragazza nata a Napoli il 9 aprile sotto il segno dell’ariete con ascendente leone era la sua dolce Isabella. E di chi cazzo era “Lui”, francamente, Gennarino se ne fotteva ben poco in quel momento. Quel tarlo gli aumentava esponenzialmente salivazione e battito, con il rischio che stava per lasciare le penne su quel pavimento alla vigilia di Natale.
In meno di 8 minuti il motorino di Gennarino sgommava minaccioso sotto casa di Isabella, che da donna arguta e previdente, lo stava aspettando giù al portone.
— Amore mì… —, ma non ebbe il tempo di finire.
— Amore mì un corno Isabé!! Tu nun è capit nient! A me di questi figli maschi, di questa maledizione nun me fott proprio nient!! So’ tanta bell’ e femminucc’ Isabè! Ma a me che me ne fott’ e sta maledizion, a maga, i capricorni ascendenti draghi e l’anno del cavallo! Tu stai cu’ mme e finchè stai cu ‘mme tu nun a salvà propri’ a nisciun Isabè, è capit?! Pace a San Gennaro e la Madonna, grazie assaj, per carità, ma viva le femmine.
— Gennarì, ma cerca di essere comprensivo… la nostra gente, la nostra città… hanno bisogno di noi, del nostro aiuto! Mica ci possiamo tirare indietro Gennarì, che figura facimm’?
— Isabè ma quale figura?? Aggia passà pe’ cornut’?! M’aggia metter’o’ scuorn’ nfacc?
Mentre Isabella e Gennarino continuavano la tiritera, mamma Gemma tentava inutilmente di raggiungere il cellulare del figlio. Dopo 22 chiamate andate a vuoto, Isabella si accorse che un fascio luminoso fuoriusciva a intervalli regolari dalla tasca del giubbino del suo amato.
— Gennarì, vedi che t stanno chiamando, calmati e rispondi!
Il ragazzo stava per lanciare il cellulare contro il muro, quando lesse sul display “Amore Mio Chiama”; si bloccò dall’eseguire quel gesto istintivo e rispose con fare disperato “Mammà che è succies?”
La madre, alla quale il figlio aveva confidato che Isabella era la ragazza della profezia un attimo prima di saltare in sella in preda all’ira, non era riuscita a fermarlo e a dirgli una cosa molto importante.
— Gennarì a’ mmammà, stamm a sentì, tu sei troppo impulsivo e sei scappato prima che mammà ti riuscisse a dire che anche tu sei il ragazzo della profezia…
— Mammà ma tu che ddici? Sei uscita pazza oi mà? Io sono nato il 15 gennaio, mentre o strunz ra profezia è nato il 10. Come faccio a essere io oi mà? Io m’accir oi mà! Se perdo a Isabella e perdo pur a dignità che cazz camp a fa?!
— Gennarì calmati!! Le cose stanno diversamente: tu sei nato il 10 gennaio 1980 alle 4 del mattino, però tuo padre aveva la partita del Napoli nel pomeriggio e ha fatto chiudere l’anagrafe col risultato che la registrazione è stata fatta solo il 15… ma ti ripeto, vita mia, che il ragazzo della profezia sei proprio tu!
Gennarino si sentì improvvisamente di nuovo al mondo: il sangue riprese a scorrere e il cuore a battere regolarmente, la sudorazione smise di innaffiargli il bordo della felpa. Non potè resistere e accennò uno dei suoi sorrisi più goffi e soddisfatti.
— Mammà tu sì a vita mij!! Io ti amo! Grazie mammà! Sei la mia vita!
Ma la madre lo interruppe: “Gennarì ma quale grazie! Ti ho fatto 1000 chiamate a’ mammà, perché non mi rispondi?! Qua abbiamo un problema gravissimo e l’amma risolvere Gennarì, senno succede il putiferio!
— Mammà ma che adda succerer? È tutt’apposto no? Tutto bene quel che finisce bene!
— Gennarì ma tu nun è capit proprio nient’a’mammà?! Salta in sella e corri a casa che qua ci sono i veri problemi Gennarì!
— Mammà ma tu che dici?!
— Gennarì ammo bell’ ammammà!! Mò chi cazz’ ci’ho dice a tuo nonno che il nipote non si chiamerà Pasquale!?!?!?!