Sembra la trama di una fiction talmente surreale da non sembrare quasi plausibile, ma in realtà sono le lunghissime ed infinite pagine dell’inchiesta sulla Curva Nord dell’Inter rese possibili soprattutto dalla testimonianza resa agli inquirenti dal pentito dall’ex leader degli ultras nerazzurri Andrea Beretta, finito in carcere dopo l’omicidio dell’ex fidato braccio destro – e rampollo ‘ndranghetista – Antonio Bellocco: un gesto apparentemente immotivato, ma che trova una chiara spiegazione proprio nelle pagine della lunga inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nella Curva Nord e nella figura di Daniel D’Alessandro recentemente finito in manette mentre di trovata il Bulgaria per l’omicidio di Vittorio Boiocchi del quale è ritenuto il sicario.
Una storia – appunto – complessa e che trova le sue origini nei giochi di potere per la guida della Curva Nord tra i quali dobbiamo immergerci per capire un altro (certamente non l’ultimo) tassello di questo intricato puzzle: tutto parte proprio da D’Alessandro che venne coinvolto da Antonio Bellocco e Marco Ferdico nel piano per uccidere Beretta – e ovviamente porre fine alla sua leadership tra gli ultras – e decise di tradirli.
Inchiesta nella Curva Nord: il doppio tradimento di D’Alessandro che salvò la vita a Beretta
Secondo quanto racconta oggi il Corriere della Sera – infatti – nei tanti interrogatori resi da Beretta alla base dell’indagine sulla Curva Nord rivelò già da subito che dietro all’omicidio di Bellocco ci fu una soffiata da parte di un anonimo amico (poi identificato, appunto, come D’Alessandro) sul tradimento da parte dei due fidati secondi in comando: l’amico gli disse che il piano era già pronto, che l’avrebbero “convocato alla cascina” dove gli sarebbe stato offerto “un caffè avvelenato con le benzodiazepine” dopo il quale sarebbe stato freddato e sepolto in una buca “già scavata” per la quale lui stesso recuperò “la calce viva” per far sparire il cadavere.
Una soffiata alla quale l’allora leader della Curva Nord non credette fino in fondo, almeno non prima di essere convocato veramente alla cascina e di ricevere l’offerta per il caffè: intuendo l’inganno Beretta rifiutò e la notte stessa ricevette una seconda visita da parte di D’Alessandro che confermò una seconda volta che seppur il piano originale fosse saltato, sarebbe stato comunque ucciso e da quel momento passarono tre giorni e tre notti nelle quali l’ex leader ultras non chiuse occhio, girando (quelle poche volte che uscì di casa) sempre armato.
Tutto fino al 4 settembre quando Beretta venne nuovamente convocato da Bellocco fuori dalla palestra frequentata dalla Curva Nord: lì capì che stava per giungere la sua ora e riuscì a reagire quando il secondo in comando gli puntò contro una pistola, afferrandola ed utilizzandola a sua volta (assieme ad un coltello) per uccidere l’aguzzino; e mentre a D’Alessandro venne offerta dagli inquirenti protezione nel caso in cui avesse deciso di parlare, rifiutò dopo un incontro intercettato con Ferdico in seguito al quale rimase completamente isolato dai suoi ex compari e da qui la decisione di scappare – non agli inquirenti, ma alla stessa Curva Nord – in Bulgaria.