Trump o non Trump, pare che si avvicini la possibilità di una intesa per porre fine alla guerra in Ucraina. O meglio, da quando è stata “invasa” la provincia di Kursk, la guerra in Ucraina e in Russia.
Non è ancora chiaro chi parteciperà e con quale ruolo alle trattative, a parte, ovviamente, la Russia e l’Ucraina. Ho già scritto tempo fa che alla fine non ci saranno vincitori. Tutti, e non solo i russi e gli ucraini, hanno perso, chi più chi meno. Mi sembra quindi giusto, per ora, in attesa della definizione delle condizioni di pace, cominciare a fare l’elenco dei perdenti. È un elenco che comprende cose e persone e anche il prestigio di un popolo.
La Russia non ha ottenuto proprio quello che voleva. La sua avanzata è stata bloccata. Il regime di Zelensky è ancora al potere. La Federazione Russa ha dovuto spendere una enorme quantità di denaro e, soprattutto, di vite umane, per occupare un territorio che ora non è neanche chiaro se potrà amministrare. Con le sanzioni ha dovuto fare i conti con un ulteriore elemento di crisi, non solo sul piano economico, ma anche del rapporto con la società internazionale. Si pensi ad esempio all’esclusione dalla maggior parte delle competizioni sportive, a cominciare dalle Olimpiadi, che per i russi hanno sempre rappresentato un evento di grande importanza. Oltre ai morti e agli invalidi, molti di più di quelli del nemico, la Federazione Russa ha perso anche decine di migliaia di giovani fuggiti all’estero, molti dei quali sono specialisti in settori avanzati dell’economia.
Per l’Ucraina si può fare un discorso analogo, anche se il numero delle vittime, comprese quelle civili, non è paragonabile a quello degli invasori. Comunque, anche gli ucraini hanno avuto un buon numero di “imboscati” che oltre a far scarseggiare il numero dei combattenti, sta creando una situazione di conflitto interno tra le famiglie di chi è rimasto a combattere, e a morire, e di chi ha cercato di mettersi al sicuro, ricorrendo spesso al vecchio sistema della corruzione.
Ha perso anche l’Europa. Ad esempio molte risorse, anche a causa di sanzioni che si sono rivelate controproducenti. In più ha perso la faccia di fronte al mondo, perché con tutta la sua retorica sull’essere la capitale dei diritti e della cultura non è riuscita a fermare una guerra disastrosa al proprio interno.
Le vecchie e nuove potenze degli USA e della Cina hanno sicuramente guadagnato, soprattutto nei confronti dell’Europa, un maggiore prestigio internazionale. Probabilmente, però, non avevano bisogno di questa guerra, che ha complicato i rapporti con molti loro partner e clienti.
Tra chi certamente, e pesantemente, ha perduto, c’è la Chiesa ortodossa. Con la guerra e la scelta del patriarca di schierarsi acriticamente dalla parte di Putin ha perso più della metà dei suoi fedeli, già molto tiepidi anche prima. Dal punto di vista ecclesiastico l’Ucraina apparteneva per la maggior parte al patriarcato di Mosca, ora non più. Non solo; anche in altri territori, che il patriarcato russo pretende di controllare in base al suo diritto canonico, c’è ormai l’idea che una Chiesa che si definisce russa e che ora è ancor meno libera di prima nei confronti del potere, non è più tanto credibile e accettabile.
A Milano, ad esempio, la stragrande maggioranza delle chiese affidate a suo tempo dalla diocesi ambrosiana al patriarcato di Mosca erano tenute da preti ucraini, come ucraini erano la maggior parte dei fedeli. Se adesso si nomina nel canone il patriarca di Mosca i fedeli escono, magari senza far mancare qualche imprecazione. In Ucraina, invece, nonostante diversi tentativi di ingerenza di tipo nazionalistico del governo, i preti ortodossi, liberati comunque dall’associazione a Mosca, mantengono un certo prestigio guadagnato sul campo. Infatti molti parroci, un po’ come successe in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale, hanno finito col guadagnarsi il rispetto della gente e degli stessi belligeranti. È significativo un dato: attualmente nei seminari della sola Chiesa cattolica di rito orientale ci sono più di 600 giovani seminaristi. La presenza di Chiese che siano capaci di essere centri di riconciliazione dopo la fine della guerra non sarà meno preziosa di eventuali forze militari di interposizione.
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