La Federico II sbarca a New York carica dei suoi ottocento anni di storia e orgogliosa di essere stata fondata da un monarca potente e illuminato – Federico II di Svevia, appunto – che non a caso si era meritato l’appellativo di Stupor Mundi. Capitanata dal rettore Matteo Lorito dietro l’organizzazione di Giorgio Ventre, che dirige il Dipartimento di Ingegneria elettrica, la squadra dell’ateneo giunta nella Grande Mela per due giorni incontri confronti e dibattiti non è venuta meno al compito di stupire – per restare nella tradizione – sia gli ospiti venuti ad ascoltare che in qualche misura anche se stessa.
L’appuntamento è alla Cornell Tech che vanta un campus modernissimo incastrato sulla Roosevelt Island, suggestivo pezzo di Manhattan immerso nell’East River che a raggiungerlo ci vuole un po’ ma una volta sopra si fa perdonare per la quiete che riesce a restituire nel cuore della città più caotica dell’Occidente. Qui l’università napoletana ha ora disponibile uno spazio fisico come base logistica per lo scambio di esperienze studenti e opportunità anche imprenditoriali che sarà possibile realizzare tra le due sponde dell’Atlantico unite dal destino di ritrovarsi sul 41esimo parallelo.
L’occasione è stata utilissima per passare in rassegna la straordinaria offerta di studio e didattica che la Federico II è in grado di offrire confermando l’assoluta qualità di una ricerca che in molti casi si pone sulla frontiera dell’innovazione a livello globale come hanno dimostrato le tante testimonianze che si sono potute ascoltare. Una varietà e una profondità di competenze capaci di combinarsi tra loro proprio in virtù dell’anzianità dell’infrastruttura culturale che le sorregge e che oggi le sospinge ad affrontare una nuova avventura che il corpo accademico sembra pronto ad affrontare.
Ciò che manca, l’anello finale per dare valore a tanto lavoro, può essere recuperato proprio in America intesa come rampa di lancio di giovani talenti e start-up che possono trovare l’ambiente adatto per irrobustirsi e catturare quella finanza per l’impresa che qui abbonda e premia il merito. Dal Nuovo continente le risorse che possono trasformare la conoscenza del Vecchio in soluzioni in grado di affrontare la sfida del mercato contribuendo a creare ricchezza e posti di lavoro come parte integrante di un processo di crescita comune basato su trasferimento tecnologico e applicazione sul campo.
Questa volontà di contaminazione porterà vantaggi all’Italia e in particolare al Mezzogiorno che di sbocchi vitali ha bisogno come il pane. Un tempo si esportavano braccia, ora idee. Nella consuetudine dei viaggi di andata e di ritorno si lascia qualcosa dove si arriva e si riporta qualcos’altro a casa con benefici che aumentano a ogni passaggio. La condizione è che ci si muova con mente aperta – open mind come dicono negli States – liberando il cervello dalle incrostazioni del pregiudizio che impediscono di cogliere i frutti più promettenti preferendo le zone di conforto all’incertezza dell’azione.
Questo collegamento con il futuro è pertanto il benvenuto. Ora che il ponte che lo consente è stato costruito – un nuovo ponte, certo, perché non è il primo, né l’unico a essere in funzione – occorrerà preparare la merce che deve passarci sopra: i contenuti materiali e immateriali che dovranno alimentare un rapporto che potrà e dovrà vivere in ragione dell’utilizzo che se ne farà. Le premesse sono buone e nella missione appena compiuta se n’è data ampia dimostrazione. L’auspicio è che lo spirito che si è avvertito aleggiare nella stimolante brezza della città che non dorme mai ci accompagni anche in patria.
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