Comincia un’altra settimana con tutti i problemi aperti che hanno chiuso gli ultimi sette giorni. Donald Trump può fornire delle improvvise variazioni a quella che è stata battezzata come “guerra dei dazi”, può riservare nuove sorprese con altre dichiarazioni che si succedono nel giro di poche ore e che si riflettono nelle quotazioni di Borsa.
Ma la ricerca di un nuovo “ordine mondiale”, dopo le crisi devastanti di questi anni, non cambierà lo scenario di fondo. Il nuovo ordine sarà frutto di una partita a due tra Stati Uniti e Cina? Sarà una partita a tre, considerando la Russia di Vladimir Putin tra i giocatori, oppure sarà un gioco più ampio, dove al tavolo dovrebbero sedersi protagonisti teorici come l’Unione Europea, i nuovi BRICS, una potenza che sovvenziona gruppi terroristici come l’Iran e scatena reazioni irrazionali come quella di Israele?
In realtà si fanno solo ipotesi, alcune gravissime, sul “grande tumulto” che ha colpito il mondo, ma sinora dagli organismi internazionali e dai protagonisti di questo “gioco” carico di insidie drammatiche non arriva alcuna strada da seguire per arrivare a risolvere con una cooperazione costruttiva la grande crisi che sta attraversando il mondo.
È evidente che i problemi tra gli Stati hanno diversa natura, ma non c’è dubbio che esiste ed è in crescita un aspetto che nasce all’interno dei singoli Stati, che da anni sembrano disaffezionati alla democrazia. Secondo il Global Democracy Index da ormai dieci anni il livello di democratizzazione degli Stati nel mondo è in continuo declino.
Questo è il messaggio principale pubblicato a fine febbraio di quest’anno relativo alle ricerche sul 2024. Il documento valuta ogni anno 167 Paesi e territori su una scala da 0 a 10 basata su cinque criteri: processo elettorale e pluralismo; funzionamento del governo; partecipazione politica, cultura politica e libertà civili. I Paesi sono poi raggruppati in quattro categorie: democrazie complete, democrazie imperfette, regimi ibridi e regimi autoritari. Secondo il documento, il 2024 è stato contrassegnato da una “disaffezione generale per la democrazie” cresciuta in tutto il mondo. Questo fenomeno è dovuto alla mancanza di fiducia nei governi, alla scarsa efficacia con cui i rappresentanti politici affrontano i problemi dell’elettorato e da un deficit civico e di rappresentanza politica. L’effetto è un sentimento di disillusione per le istituzioni democratiche, che contribuisce a far crescere populismo, disimpegno politico e polarizzazione.
C’ è chi, vivendo nelle democrazie occidentali, si è accorto di tutto questo. Il filosofo americano Michael J. Sandel nel suo libro La democrazia stanca spiega: “Il malcontento verso i sistemi democratici sembra ormai un sentimento diffuso in molti degli Stati occidentali aggravato a tal punto da sollevare dubbi sul futuro della democrazia tout court”. Nel caso di Sandel non è solo una critica, ma anche un’autocritica da tenere in considerazione.
Si può aggiungere che il Paese più democratico, da sedici anni a questa parte, è ritenuta la Norvegia, che purtroppo non fa parte dell’Unione Europea. L’Italia sta con la Francia (declassata da poco) nel secondo gruppo: quello delle democrazie imperfette.
Il problema tuttavia che nasce spontaneo è questo, e sembra anche ovvio: come puoi risolvere i problemi globali, complessivi, i rapporti con altri Stati che hanno anch’essi i loro problemi se non cominci a risolvere i problemi di casa tua?
C’è da notare che tra i “grandi giocatori” dell’ordine mondiale, gli Stati Uniti sono una democrazia imperfetta, mentre Russia e Cina sono regimi autoritari. La partita è quindi difficile.
In tutti i casi, gli accordi si sono sempre trovati, anche tra regimi diversi e si sono trovati complicati compromessi tra società talmente diverse che pareva impossibile una coesistenza.
Oggi però il quadro complessivo appare differente, perché l’essenza stessa della democrazia, sia in pace che in guerra, era il contrappeso migliore allo spirito di potenza, all’ansia di protagonismo che è ritornato negli anni Ottanta del Novecento, con una visione economica e sociale individualistica che non vuole collaborare con il diverso ma si vuole imporre. Se la democrazia va in grave crisi non riesce più a resistere alla forza di chi si oppone a tutto. Questo è il pericolo reale.
I tanti problemi che stanno caratterizzando questa svolta epocale moltiplicano le possibilità di una drammatica crisi dell’ordine: il ruolo primario della finanza e un mercato senza controllo; le diseguaglianze sociali che si sono moltiplicate; una globalizzazione che non è stata regolata bene. Possiamo fare un elenco degli errori delle democrazie in questi anni.
Ma riconosciuto questo, è bene ricordare che la democrazia resta sempre il sistema che garantisce la democrazia, l’uguaglianza, la solidarietà. Il sistema democratico, come ricordava Winston Churchill, ha molti difetti, ma non c’è nulla di meglio.
Quale è allora il problema? Bisogna rivitalizzare la democrazia in tutti i modi, se è necessario anche con una grande riforma. Occorre che la democrazia riguadagni la fiducia dei cittadini, perché solo la cultura democratica è in grado di aprire una strada credibile verso la pace. Forse siamo ancora in tempo per invertire la china di questi anni. In tutti i casi bisognerà provarci, magari mandando un insegnante anche all’attuale Presidente USA.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.