In carcere le “grandi Feste” hanno poco spazio. Natale un po’ di più per via degli addobbi che almeno danno un segnale. Ma altri momenti forti dell’anno liturgico sono del tutto inavvertiti. Anche Pasqua. Nelle due ultime settimane prima della domenica di Resurrezione, i detenuti possono ordinare nella “spesa” le colombe e le uova di cioccolato: ricordano che sì, sta arrivando.
Ovviamente i sacerdoti e i Volontari che si occupano dell’animazione religiosa delle confessioni cristiane, ne parlano e organizzano momenti dedicati… Ma quanti vi partecipano? Mai come in un carcere ci si rende conto di quanto la società sia agnostica. La religione è in ritirata costante, ma anche la dimensione spirituale delle persone, anche l’adesione a una fede, se non ha momenti di condivisione liturgica, se è vissuta senza culto, finisce con lo spegnersi o ridursi.
Così è bello segnalare una piccola iniziativa di un gruppetto di “ospiti” della Casa di Reclusione di Bollate che hanno deciso di spendere il tempo di Quaresima (alcuni di loro, va detto, non avevano granché chiaro che ci fosse una Quaresima, né che cosa fosse) per riflettere sulla Pasqua, facendosi aiutare da parole scritte da altri, per leggerle, commentarle, riflettere, forse farle proprie.
Ebbene, durante uno di questi incontri (poco più di un’ora, una volta a settimana, una riunione informale e libera, per come lo può essere in un carcere) è stata proposta una poesia, poco nota, di Simona Lussiana:
Pasqua di presenza
Le Sue braccia aperte sul mondo:
Il Suo sangue sparso a lavacro.
“Padre, perdona”.
Re lassù sulla croce. Il tramonto.
Poi il nunzio che Lui non è qui,
è oltre il male:
è nell’Eden che bramiamo,
è nel nostro imperfetto amore,
è nel Pane che mangiamo,
è in queste nostre lacrime.
Lui è qui,
con l’uomo che soffre.
Sì, qui, Signore,
risorto dal Tuo, dal nostro dolore.
Ha colpito molto tutti. Uno ha colto la contraddizione tra il verso che cita le parole degli Angeli al Sepolcro ormai vuoto: “Lui non è qui” con l’altro verso: “Lui è qui”.
Dunque, Lui, ovvero la Presenza che dà il titolo alla poesia, c’è o non c’è?
In una prigione, dove tutti sono segregati, sono lontani dagli affetti più cari, privi della libertà di fare e di volere, sicuramente gravati da molte cose, come il rimorso, la durata della pena, la perdita di attività, di beni, di possibilità, il passar degli anni che scava solchi di separazione dal mondo, l’ingiustizia patita – e non sono pochi coloro che si sentono (e spesso, sono) colpiti ingiustamente, insomma, in una prigione, c’è o non c’è?
È la domanda decisiva. Tutti i membri del gruppetto sanno che la vittoria di Cristo sul male e sulla morte, i veri nemici della vita umana, è arrivata. Dopo la grande sfida della Passione, Gesù è risorto e ci ha salvati con Lui. Ma questo cambia le cose?
Da un’iniziale posizione di perplessità, dove nella mente e nei cuori di quel “resto” che partecipa agli incontri prevaleva il “Lui non è qui”, si è affacciata un’idea.
Qualcuno si è ricordato che stiamo vivendo un Anno Santo, un Anno Giubilare, dedicato alla speranza. E così è emerso questo spiraglio: sperare cambia le cose, sperare porta Lui qui.
Ma non si può sperare sul niente, abbiamo bisogno di fondamenta per sperare; come capita che le persone anziane, di fronte alle ansie dei giovani, dicano: non preoccuparti, tutto passa, tutto si affronta, perché hanno una capacità di sperare che nasce dalla lunga esperienza di vita.
Allo stesso modo, la Grande Speranza, cioè l’attesa di una vita piena che prepari a quella eterna, può nascere solo se la si è sperimentata. La Speranza non può che venire da qualcosa che è effettivamente accaduto, da un evento risolutivo che cambia e trasforma.
Eccolo il senso di quel “Lui è qui”, anche proprio qui, in carcere, tra i mille problemi che chiunque, in questo “qui”, si porta addosso. Si può farsi sorprendere dai segni positivi, a volte sono solo un tenue bagliore, ma è un inizio.
La Speranza è uno sguardo al futuro che non trascura il presente: si è capito, anche leggendo quella poesia, che una vita vissuta sul presente risulta povera, e del resto se fosse proiettata solo sul futuro sarebbe un’illusione. La Speranza è l’energia che lega presente e futuro, che legge il presente per cogliere segni di futuro: che sa dare sostanza alle aspettative nei fatti immediati.
Così Pasqua recupera il suo significato, non è un ricordo, né una celebrazione, ma è alimento della Speranza, che consente alla vita di esserci. Ora quel gruppetto è d’accordo: è qui. È presente.
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