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Home » Politica » DALLA DIFESA COMUNE AL MES/ “L’Italia si tenga alla larga da soluzioni non democratiche e pericolose”

  • Politica
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DALLA DIFESA COMUNE AL MES/ “L’Italia si tenga alla larga da soluzioni non democratiche e pericolose”

Int. Mario Esposito
Pubblicato 15 Maggio 2025 - Aggiornato alle ore 20:06
Da s.: Re Felipe VI di Spagna, Mario Draghi, Sergio Mattarella, Marcelo Rebelo de Sousa a Coimbra, Portogallo (Ansa)

Da s.: Re Felipe VI di Spagna, Mario Draghi, Sergio Mattarella, Marcelo Rebelo de Sousa a Coimbra, Portogallo (Ansa)

Nuove spinte per fare la “difesa comune”: ieri da Coimbra hanno parlato Mattarella e Draghi. Lunedì era stato l’Eurogruppo a riaprire il capitolo Mes

“Nessun dorma”, “stare fermi non è un’opzione”. È l’esortazione di Mattarella all’Italia e all’Europa dal Simposio COTEC Europa di Coimbra (Portogallo), dove il capo dello Stato era accompagnato da Mario Draghi.

Il presidente della Repubblica si è rivolto a tutti i Paesi europei perché facciano senza indugio la difesa comune e procedano spediti lungo il cammino dell’integrazione mettendo da parte “ingiustificate ritrosie”, mentre Draghi ha criticato la politica americana dei dazi, accusata di avere destrutturato l’ordine internazionale, e difeso la necessità di emettere debito europeo comune per finanziare gli armamenti.


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Due appelli che arrivano a ridosso del pressing su Giorgetti da parte dell’Eurogruppo perché l’Italia ratifichi il Meccanismo europeo di stabilità, MES (pronta, martedì, la risposta del vicepremier Salvini per tutto il Governo: non lo ratificheremo mai, anzi, riprendiamoci i 15 miliardi).

Un “filo blu” a legare questi puntini, c’è: l’Unione Europea, in perenne emergenza a causa della sua architettura disfunzionale e delle sue scelte politiche, sta aumentando la pressione sugli Stati tradizionalmente più sensibili alle sirene di Bruxelles.


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Abbiamo interpellato Mario Esposito, ordinario di diritto costituzionale nell’Università del Salento e docente alla Luiss di Roma.

Partiamo da Draghi. Che cosa la colpisce di più delle dichiarazioni dell’ex premier a Coimbra?

In primo luogo, l’ondeggiare continuamente tra affermazioni che riguardano l’Italia, evidentemente supponendo che sia ancora uno Stato sovrano, e altre che si riferiscono all’Europa. Ma il paradosso – che certamente Draghi ben conosce – è che il nostro Paese, a causa di scelte molto discutibili, almeno da Maastricht in avanti, è di fatto titolare ormai soltanto del “lato passivo” della sovranità: il debito e, in generale, i servizi e le prestazioni da rendere ai cittadini.


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La domanda vien da sé: e il lato attivo?

Il versante attivo è posto in capo ad un apparato che la collettività italiana non può concretamente orientare.

L’art. 49 della Costituzione sembrerebbe dire il contrario.

Il 49 garantisce “solo” il diritto a concorrere alla determinazione della politica nazionale: con riguardo alle istituzioni europee, dunque, solo indirettamente, e in un contesto in cui altri Paesi “pesano” di più in forza dei noti parametri relativi al debito pubblico e all’indebitamento, e dello spostamento a Bruxelles del centro propulsore delle politiche pubbliche.  Con una precisazione, non solo lessicale.

Vale a dire?

Forse non è un caso che la parola sovranità, anche se popolare, susciti tante levate di scudi in certi ambienti europeisti. Sovranità è un nome tecnico-giuridico, ma i poteri sottostanti sussistono anche se li si denomina diversamente, magari per dissimulare chi ha la titolarità effettiva di quei poteri.

Cioè i poteri ci sono sempre, anche se la sovranità viene stigmatizzata a parole?

Esatto. Anche se la sovranità non è più disciplinata come potere pubblico e “per il pubblico”.

Le parole di Draghi sul mercato interno?

Non dovrebbero passare inosservate. A suscitare qualche sorpresa è… la sorpresa dell’ex presidente della BCE in relazione alla mancanza, dal 2008, di una politica dell’UE volta a far crescere il mercato interno. Draghi non è la stessa persona che nel 2013 teorizzava l’esistenza di un “pilota automatico” che avrebbe condotto in ogni caso il nostro Paese alle riforme e attribuiva ai mercati finanziari una funzione pedagogica nei confronti degli elettori?

Vada avanti.

Sarebbe auspicabile che persone di un tale livello professionale fossero più chiare nei riferimenti: chi, come, con quali mezzi dovrebbe concepire ed attuare una politica dell’Unione Europea?

E il richiamo alla necessità di un debito comune?

Il debito comune presupporrebbe che si fosse seguita la strada indicata tante volte anche da autorevoli esponenti di altri Stati membri: prima l’unificazione politica e poi il resto. Si fece l’opposto, proprio come nel nostro Paese si pensò – contro il parere, tanto per citare un solo nome, di Paolo Baffi – che le regole monetarie potessero sostituire quelle costituzionali.

Mattarella continua a sollecitare un “salto di qualità politico nel processo di integrazione”, necessario a fare la “difesa comune”. Da cui l’urgenza di agire. Insomma siamo sempre al “Fate presto” del 2011.

Un punto mi pare da segnalare: il Presidente della Repubblica sempre più spesso, in occasione di viaggi all’estero, “esterna” posizioni particolarmente impegnative dal punto di vista dell’indirizzo politico nazionale. Sarebbe interessante capire in che misura tali dichiarazioni siano in accordo con le posizioni del Governo. Quanto al merito, sono ormai decenni che si parla di un “salto di qualità”. Ma sino a quando si continuerà ad utilizzare strumenti intergovernativi, sarà difficile compiere quel salto. Lo dimostra proprio il tema della difesa.

Dunque si continua ostinatamente ad insistere in una direzione fallimentare?

Il progetto di Comunità Europea di Difesa (CED) fallì proprio perché toccava il presupposto stesso degli Stati, ossia l’indipendenza delle collettività nazionali. I tentativi di creare “formazioni sovranazionali” non sembrano poter condurre lontano. Quindi non credo sia realistico ipotizzare che possa esserci una vera difesa comune senza una comune entità politica. Piuttosto occorre guardarsi da “usi alternativi” di simili iniziative. Ma sono sicuro che il Capo dello Stato vi presterà la massima attenzione.

Ecco, a proposito di piani di riarmo. La Germania ha chiesto – e probabilmente otterrà – una sospensione del Patto di stabilità che a suo tempo ha voluto imporre a tutti. Cosa ci dice dell’UE questa differenza ormai evidente di trattamento?

È la conferma della torsione “egemonica” imposta all’integrazione europea: basti pensare alla questione della riunificazione tedesca in relazione ai negoziati per la stipulazione del Trattato di Maastricht. La Germania ha guardato all’UE sempre dalla prospettiva del proprio ordinamento, del quale ha conservato prerogative che la funzionalizzano ai propri obiettivi. L’opposto, almeno per certi aspetti, di quanto abbiamo fatto noi. Ma se un tempo poteva agire un nostro afflato europeistico, oltre alla necessità di utilizzare il cosiddetto “vincolo esterno” per limitare il disordine politico interno, oggi abbiamo una tale quantità di prove, a conferma di tali torsioni, che non legittimano né giustificano facili illusioni.

Si è riaffacciato il MES, che il Parlamento italiano ha respinto al mittente nel dicembre 2023. Qualcuno ha già lanciato l’ipotesi di usarlo per finanziare il riarmo, ma Salvini ha ribadito per la maggioranza il no alla ratifica del trattato. Cosa dovrebbe fare l’Italia?

La posizione della maggioranza è chiara, e sotto il profilo delle regole democratiche appare del tutto razionale che non si ratifichi un trattato che essa ritenga contrario all’interesse nazionale. Si tratta di un tema molto complesso, ma vale la pena di rammentare che ci sono molti profili poco chiari nella stessa articolazione normativa del MES, che si presenta come un ennesimo surrogato dell’integrazione politica. Aggiungo: in palese contraddizione rispetto agli auspici di Mattarella.

Per quale motivo?

Si costituisce un soggetto di carattere commerciale – il voto infatti non è capitario – per l’erogazione di prestiti, con una disciplina che intreccia però elementi privatistici con altri pubblicistici, ad esempio in materia di immunità. L’assistenza agli Stati che ne facciano parte e versino in gravi difficoltà finanziarie sembrerebbe per certi versi eludere ancora una volta il problema delle forme politiche dell’autorità e del pericolo di ogni tentativo di loro sostituzione con altri strumenti.

Detto altrimenti?

Esistono forme specifiche dell’autorità politica che non sono surrogabili con quelle di mercato. Invece nel MES la finalità di sostegno agli Stati partecipanti è indissolubilmente legata alla necessità di garantire la stabilità dell’euro. Ma anche la soluzione trovata è problematica.

Problematica perché si colloca su un piano squisitamente finanziario?

Sì. E per di più senza alcuna limitazione espressa alla esposizione debitoria, dunque in contrasto potenziale con le finalità “pubblicistiche”. Non solo. Attraverso le condizionalità ed i vincoli che accompagnano il prestito, contenuti in un memorandum di intesa da sottoscrivere con lo Stato beneficiario, il MES è suscettibile di creare ancora una volta rapporti di carattere egemonico.

Insomma, un’altra distinzione tra eguali e “più eguali”.

Esattamente. Per non dire dell’aspetto più clamoroso: il MES e simili meccanismi sono sottratti al controllo democratico.

(Federico Ferraù)

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Tags: Giancarlo GiorgettiMatteo SalviniSergio MattarellaMario Draghi

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