Ursula von der Leyen ritiene di poter passare indenne attraverso gli scandali come ha fatto in passato. È una sua specialità
Ursula von der Leyen è una delle figure più influenti della politica europea contemporanea: questo è ormai noto e ampiamente sottolineato dai media. Attuale presidente della Commissione europea, è la prima donna a ricoprire tale incarico, ottenuto grazie a una maggioranza trasversale senza precedenti. Tuttavia, la sua carriera è costellata di controversie e scandali che, sebbene per lo più ignorati dai grandi media, non possono non destare preoccupazione.
L’ultimo e più noto – nei limiti imposti dal controllo dell’informazione in ambito UE – è quello legato a Pfizer.
Durante la pandemia di Covid-19, von der Leyen ha negoziato personalmente con il CEO di Pfizer, Albert Bourla, per l’acquisto di vaccini destinati all’Unione Europea. Le comunicazioni, avvenute tramite messaggi di testo, hanno sollevato interrogativi sulla trasparenza del processo. La Commissione ha rifiutato di divulgarne il contenuto, sostenendo che non si trattasse di documenti ufficiali.
L’Ombudsman europeo ha avviato un’indagine e ha accusato la Commissione di “cattiva amministrazione”. In seguito, la Corte di Giustizia dell’UE ha annullato una decisione che manteneva segreti alcuni dettagli contrattuali, riaffermando la centralità della trasparenza nelle istituzioni europee. Tuttavia, si attendono ancora conseguenze concrete.
In realtà, Frau von der Leyen – soprannominata da alcuni in Germania “Von der Lügen” (della bugia, ndt) – era giunta a Bruxelles quasi in fuga da un altro scandalo: quello noto come “Berateraffäre” (lo scandalo dei consulenti), esploso quando ricopriva l’incarico di ministra della Difesa.
Tra il 2017 e il 2018, il Bundesrechnungshof (la Corte dei Conti tedesca) riscontrò gravi irregolarità nell’assegnazione di contratti a società di consulenza, con pesanti violazioni delle normative sugli appalti. Un’indagine parlamentare accertò che erano stati spesi centinaia di milioni di euro senza un’adeguata supervisione. Inoltre, dati rilevanti – inclusi messaggi da telefoni ufficiali – risultarono cancellati, ostacolando le indagini.
Von der Leyen ammise errori nella gestione, ma negò qualsiasi intenzionalità dolosa. Durante il suo mandato (2013-2019), il ministero della Difesa fece ampio ricorso a consulenze esterne, spesso senza bando e in modo opaco. Tra i beneficiari figuravano colossi come McKinsey e Accenture, a cui furono affidati incarichi milionari. Il caso esplose pubblicamente nel 2018, portando alla creazione di una commissione d’inchiesta del Bundestag nel gennaio 2019. La Corte dei Conti denunciò una “mancanza strutturale di trasparenza”.
Figura centrale nello scandalo fu Katrin Suder, segretaria di Stato ed ex McKinsey, considerata tramite privilegiato tra il ministero e i consulenti. Particolarmente controversa la sua relazione con Timo Noetzel, dirigente di Accenture, che vide i propri contratti con la Difesa moltiplicarsi in breve tempo.
Nel settembre 2020, la relazione finale della commissione parlamentare descrisse una gestione disastrosa: appalti senza gara, conflitti d’interesse, assenza di controllo politico. Tuttavia, la vicenda si chiuse senza conseguenze legali per l’ex ministra, grazie anche alla protezione degli ambienti di governo.

Infatti, per comprendere appieno l’ascesa di Ursula von der Leyen è indispensabile considerare il ruolo di Angela Merkel, sua protettrice strategica all’interno della CDU. Von der Leyen è sempre stata una delle alleate più vicine alla cancelliera, e durante lo scandalo dei consulenti, Merkel non prese mai le distanze da lei. Al contrario: la promozione a Bruxelles fu letta da molti analisti come un modo per proteggerla politicamente, evitandole un indebolimento in patria e offrendole un’uscita onorevole da un ministero compromesso.
Merkel sostenne apertamente la candidatura alla Commissione europea, ignorando le ombre che ancora gravavano sulla gestione della Difesa. D’altronde, von der Leyen conosceva bene Bruxelles, non solo perché vi era nata, ma anche perché figlia di Ernst Albrecht, ex ministro-presidente della Bassa Sassonia e alto funzionario europeo. Cresciuta negli ambienti dell’élite eurocratica, in mezzo a privilegi economici considerevoli, il ritorno in quell’ambito – nel pieno dello scandalo – rappresentò una via d’uscita comoda e rapida.
Nel luglio 2019, pochi mesi prima della pubblicazione del rapporto finale sullo scandalo tedesco, von der Leyen venne scelta – su forte spinta di Macron e Merkel – per succedere a Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione. Una promozione che ha il sapore dell’autoassoluzione, e che ha resistito persino alla fine dell’era Merkel. Infatti, von der Leyen è stata riconfermata presidente della Commissione anche sotto il cancellierato di Olaf Scholz.
Nel frattempo, in Germania è tornata la Große Koalition con un nuovo equilibrio: Friedrich Merz, storico rivale interno di Merkel nella CDU, ne ha preso il timone. Merz e von der Leyen incarnano due visioni opposte del partito e dell’Europa. Lei rappresenta l’ala centrista e “merkeliana”, lui quella conservatrice e liberale, orientata al mercato e alla disciplina fiscale.
Quando Merz tentò di tornare alla guida della CDU nel 2018, von der Leyen rimase distante. E nel 2019, dopo la sua nomina a Bruxelles, Merz criticò velatamente l’iter definendolo opaco e poco rispettoso del voto europeo. In quell’episodio si rivelò lo scontro ideologico: da un lato l’Europa delle istituzioni, dall’altro un progetto di rilancio nazionale con forti agganci nella finanza statunitense.
Eppure, un punto in comune tra i due c’è: entrambi sono fortemente russofobici (qualcuno ironizza collegandoli addirittura all’eredità storica dell’Operazione Barbarossa) e fautori di un deciso riarmo. Von der Leyen lo propone in chiave europea; Merz in chiave nazionale. Entrambi, inoltre, hanno più volte visitato Kiev; Merz si accinge a farlo anche ora per la la commemorazione del 9 maggio (vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale), e non sembrano auspicare una rapida pace tra Russia e Ucraina.
In Germania, cresce la consapevolezza – e la preoccupazione – per questo orientamento bellicista e atlantista. Un clima che sta favorendo il consenso verso forze politiche alternative, come Alternativa per la Germania (AfD).
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