Sono un’alternativa seria, dopo il diploma, all’università, che permette quasi sicuramente di trovare un lavoro. Gli ITS sono corsi organizzati da fondazioni che sviluppano la formazione degli studenti in sinergia con le aziende che cercano certi profili professionali. A volte, spiega Stefano Bertolina, direttore del settore Alta formazione di Galdus, vengono frequentati dagli stessi laureati, proprio perché insegnano concretamente i processi produttivi con cui si ha a che fare nelle imprese, fornendo, rispetto alle università, un approccio più diretto con il mondo del lavoro. Proprio Galdus, uno dei più grandi enti lombardi che si occupano di formazione professionale e inserimento lavorativo, ne sta attivando diversi in cinque aree differenti. Ecco quali sono le opportunità offerte agli studenti.
Molto spesso le aziende si lamentano del fatto che non ci sono i profili professionali che loro chiedono. Quali sono le richieste del mercato del lavoro e come si possono far incontrare domanda e offerta grazie alla formazione professionale?
Il mercato del lavoro vive un momento un po’ particolare, in cui le aziende sono molto prudenti. Da parte loro arrivano richieste pressanti di certe figure professionali, ma spesso pretendono il “famoso” neolaureato con cinque anni di esperienza, che ovviamente non si trova. La soluzione del problema è di coinvolgere le imprese nella crescita dei giovani che escono da un percorso formativo anche molto specializzante.
Nel mercato del lavoro le competenze richieste sono molto alte. Così succede che, nel settore dell’informatica, un’azienda che acquisisce una commessa importante abbia bisogno subito di 30 persone, tutte con le competenze adeguate, oppure che, nella ristorazione, si cerchino 200 persone per una serata, tutte che sappiano le lingue, per poi lasciarle a casa il giorno dopo.
Quale può essere la strada da percorrere per formare le persone e rispondere alle esigenze delle imprese?
Uno strumento importante sono gli ITS, gli istituti tecnologici superiori, fondazioni che funzionano come delle Academy: sono realtà che erogano percorsi biennali, dopo il diploma, rilasciando un titolo di studio con valore legale, un gradino sotto la laurea triennale, improntate a una formazione tecnica pratica, che puntano sulle competenze chiave per accedere al mondo del lavoro.
Faccio un esempio per far comprendere la differenza tra i percorsi: un laureato in economia e commercio sa come interpretare la complessità del quadro economico internazionale, ma non sa bene dove posizionare una registrazione contabile tra le voci di bilancio; sa come monitorare le dinamiche P&L di azienda, ma non sa costruire un bilancio in modo che sia presentabile in banca per ottenere un credito. Oggi gli ITS danno questo tipo di competenze.
Oltre agli ITS ci sono anche gli IFTS (Istruzione e formazione tecnica superiore), corsi di un anno. Cosa cambia dal punto di vista formativo?
Come Galdus li facciamo entrambi e destiniamo gli IFTS a chi è più vicino al mondo del lavoro e ha bisogno di meno tempo per inserirsi, mentre gli ITS sono per le persone cui occorrono un paio d’anni ancora per maturare, a volte anche a livello personale. Gli IFTS sono diventati il quinto anno della formazione professionale, sono l’anello di congiunzione tra la formazione professionale e un eventuale altro ITS.
Le aziende hanno un ruolo attivo nello sviluppo dei corsi, dando l’input sul tipo di profilo di cui c’è bisogno in uscita, ma anche concorrendo esse stesse alla formazione, a volte inviando esse stesse personale e manager come docenti. È prevista una parte consistente di stage nelle aziende, dal 30 al 50% delle ore: nei due anni di corso ITS lo studente sta in azienda almeno sei mesi. Spesso questo consente di anticipare l’inserimento lavorativo, perché le imprese che si offrono stanno già cercando le figure che vengono formate.
Quali sono i corsi più frequentati e qual è la percentuale di persone che alla fine trova lavoro?
I nostri corsi, tra gli altri, riguardano il food and beverage, che comprende sette classi con 140 studenti, dove vengono approfondite tre aree diverse. L’ambito cucina, in cui vengono formati aiuto cuochi, cuochi esperti e manager in grado di gestire tutto il processo. Poi c’è l’area beverage, che comprende tutto ciò che riguarda il bar, il servizio in sala: qui è prevista una specializzazione che va ad approfondire l’area del caffè, che sta crescendo particolarmente in termini di competenze.
Quindi abbiamo l’area di panificazione e pasticceria. La linea di separazione con percorsi universitari è molto sottile: restando in quest’ultimo campo, se a un tecnologo dell’alimentazione tocca occuparsi dell’ingegnerizzazione dei processi, è il tecnico superiore poi quello che li fa funzionare.
In quali altre aree siete impegnati?
Quella dell’oreficeria, in cui si sono particolarmente sviluppate le relazioni con le aziende. Abbiamo una partnership importante con Pomellato e il gruppo Kering, che ci supportano. Questo percorso, che comprende sei classi (120 studenti), è dislocato in MIND, Milano Innovation District, ex Area Expo, inserito in un contesto di ricerca, di innovazione, di tecnologia molto stimolante. Poi c’è l’area informatica: qui abbiamo solo percorsi IFTS, perché i corsi ITS sono organizzati presso le sedi della fondazione di cui facciamo parte.
Ci sono corsi ai quali quest’anno ne è stato aggiunto uno che porta i ragazzi a diventare degli sviluppatori di applicazioni con l’intelligenza artificiale: una classe sta anche partecipando a un talent, un concorso il cui vincitore, oltre a ricevere 5.000 euro, andrà a Osaka, all’Expo, per presentare il suo progetto. Le restanti aree in cui siamo impegnati sono i servizi all’impresa e Turismo, sport e organizzazione eventi, che guarda con attenzione, in questo momento, alle opportunità relative alle Olimpiadi Milano-Cortina 2026.
I corsi possono essere frequentati anche in apprendistato?
Sì. Il modello è mutuato dalla Germania, dove il 70% dei ragazzi che acquisiscono un diploma lo fa mentre lavora. Succede un po’ in tutte le aree. L’apprendistato è un rapporto di lavoro, in cui il datore fa leva sulla possibilità di far crescere l’apprendista per poi, nella maggioranza dei casi, confermarlo come dipendente.
Quante sono le persone che trovano lavoro una volta terminati i corsi?
Se va male il 70%, ma raggiungiamo anche il 100%, con una media complessiva del 90%. Quando i ragazzi arrivano da noi, facciamo già delle attività di selezione. L’allievo ideale è quello che proviene da un diploma, che sia di scuola superiore o di formazione professionale, passando da un IFTS, comunque coerente col settore.
Ma c’è chi ha intrapreso altre attività capendo che non era la sua strada. Ci sono pure dei laureati che scelgono l’ITS al posto del biennio per la laurea magistrale. In molti casi arrivano studenti che hanno sbagliato la scelta in uscita dal diploma. C’è una dispersione universitaria elevatissima: questi giovani possono trovare la loro strada grazie agli ITS.
Dove si possono reperire informazioni su questi corsi?
Abbiamo un sito internet su cui si può avere qualche informazione. In questi giorni sono già aperte le iscrizioni, dopo le quali, verificata la presenza dei requisiti per frequentare, si passa alle selezioni, che mirano a conoscere e a verificare le attitudini degli studenti. Se qualcuno vuole fare informatica, non importa se non se n’è mai occupato, ma che abbia le competenze logiche e matematiche per intraprendere quel percorso. Per saperne qualcosa di più sui corsi, comunque, ci sono anche gli open day.
I prossimi appuntamenti sono il 9 di aprile, alle 16.30, in MIND, per il settore oreficeria, mentre sabato 12 aprile, nella nostra sede di via Pompeo Leoni, alle 14.30, si parla di tutti gli altri settori. Ci si può iscrivere a entrambi sul nostro sito, anche se agli incontri si può partecipare comunque.
Si tratta di percorsi per i quali chiediamo un contributo, ma che ricevono finanziamenti pubblici che permettono di contenere le spese per una famiglia. Il triennio di oreficeria, l’anno di IFTS seguito dai due di ITS (per motivi facilmente comprensibili di gran lunga il più costoso tra i percorsi che offriamo), costa poco più di 5.000 euro. Un anno di design del gioiello, in altri enti, ne costa 20.000.
(Marco Tedesco)
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