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Home » Esteri » Medio Oriente » DALLA SIRIA/ 2. Mons. Audo (Aleppo): cerco di tenere qui i cristiani che vogliono scappar via

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DALLA SIRIA/ 2. Mons. Audo (Aleppo): cerco di tenere qui i cristiani che vogliono scappar via

"Ad Aleppo molti vogliono lasciare la Siria. La Chiesa risponde con gesti solidali, che nascono dalla fede nella Risurrezione"

Int. Antoine Audo
Pubblicato 21 Aprile 2025
Ad Aleppo, Siria (Ansa)

Ad Aleppo, Siria (Ansa)

Aleppo, rispetto ad altre regioni della Siria, è tranquilla, non si segnalano le violenze che caratterizzano altre regioni. Ma le persone, spiega Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, vivono ancora nella paura, nella povertà e nell’incertezza sul tipo di Stato che diventerà il Paese dopo l’arrivo di al Sharaa e di Hayet Tahrir al Sham (HTS).


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La Pasqua richiama tutta la comunità cristiana ad affidarsi a Dio, a fondare sulla sua resurrezione quelle speranze di vita che la realtà non concede ancora, tanto che la maggior parte delle famiglie pensa di andarsene. La speranza nel futuro ha bisogno di gesti concreti di solidarietà, come quelli che la Chiesa ha messo in atto a Natale e ha ripetuto a Pasqua, aiutando ai bambini nelle scuole.


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Dalla Siria giungono notizie di violenze, anche gravi. Ad Aleppo com’è la situazione?

In paragone con il litorale, con Homs, anche con Damasco, la situazione ad Aleppo in questo momento è migliore. Non ci sono violenze dirette. Certo, anche noi aspettiamo, siamo in attesa di capire cosa significa questa nuova situazione: uno Stato islamico per noi è un cambiamento radicale. E allora da una parte c’è un sentimento di liberazione, perché finalmente si può parlare liberamente, ma dall’altra parte non si sa che cosa accadrà, soprattutto dopo quello che è successo nella zona costiera con gli alawiti. Fra la gente c’è tanta paura, ma la Chiesa cerca sempre di dialogare, di essere presente. I responsabili del governo sono molto positivi, gentili, si comportano come quando sono arrivati, ma la verità è che non abbiamo ancora capito che cosa accadrà.


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Con i rappresentanti del nuovo governo continuate a parlare, ad avere contatti? Avete già realizzato qualcosa con loro o ci sono progetti per il futuro?

Ci sono stati diversi incontri con noi, con i responsabili delle nostre comunità; vogliono comunicare una certa fiducia, soprattutto per mandare un messaggio all’estero, al mondo, e mostrare la buona volontà del nuovo governo. E tuttavia progetti seri, almeno al momento, non mi sembra che ci siano. C’è solo un governo diverso, con tutti i poteri nelle mani di una persona sola, il presidente. Nell’esecutivo c’è una sola donna, nominata ministro delle ONG, degli Affari sociali. È una cristiana, una cattolica di Damasco, è ben conosciuta, ma è una novità che non può bastare a chiarire il futuro.

Ad Aleppo come si comporta il nuovo potere? Per esempio, le donne possono ancora girare senza velo?

Sì, possono girare senza velo. In generale, però, bisogna fare attenzione, anche se non c’è nessuna violenza diretta. Occorre distinguere le autorità ufficiali e i gruppi armati che sono entrati in città e che fanno riferimento comunque alle nuove autorità. Ci sono due tendenze in atto, insomma: una fanatica e una più politica.

Ma questi gruppi armati si vedono ancora nelle strade?

No, solo qualche volta, quando ci sono delle occasioni ufficiali. Quando siamo andati a presentare i nostri auguri alla festa dei musulmani, per il Ramadan, si sono visti in giro con le armi. Non riusciamo ancora a capire tutto quello che succede. Si aspetta.

Ma la vita della gente, almeno, è cambiata? Il cibo, l’acqua, l’elettricità ci sono?

Sì, il cibo si trova, si trova tutto. Il problema è che è tutto molto caro e la gente non ha soldi, perché i salari non vengono pagati regolarmente. La gente si reca in banca e non ha la possibilità di prelevare i propri soldi, non ci sono materialmente le banconote, mancano i contanti. Capita che si debbano fare delle file anche di cinque o sei ore e poi, arrivato il proprio turno, non ci sono più le banconote. La gente è stanca per tante cose, si vedono tanti poveri.

Come fanno le persone a sopravvivere?

La Chiesa fa molto per aiutare. Per Natale (ma lo abbiamo ripetuto anche a Pasqua) abbiamo pensato di fare un gesto di sostegno alle famiglie, consegnando 100 dollari per ogni bambino nelle scuole. Un aiuto per loro, ma anche, naturalmente, per le loro famiglie. Un gesto concreto che per la Chiesa significa far sentire molto concretamente il valore della solidarietà, della vicinanza di Dio alla nostra condizione. La vita delle persone non è ancora cambiata, da molti punti di vista ci sono ancora le stesse difficoltà di prima. Purtroppo non c’è grande fiducia. Abbiamo notizie di tante violenze, anche a Damasco.

Ma i vostri rapporti con i musulmani come sono? E loro cosa pensano di questo nuovo corso?

Anche i musulmani che non sono radicali, quelli moderati, dicono che vogliono uno Stato che garantisca la convivenza civile, non vogliono che prevalga l’estremismo. È un modo di pensare che esprime una tradizione della città, ma c’è anche una mentalità che viene da Idlib, dai luoghi che erano occupati da HTS in precedenza e che è radicata nei villaggi. Se vogliamo fare una lettura un po’ sociologica, ci sono due mentalità differenti. La comunità cristiana e quella musulmana, comunque, vanno d’accordo, c’è grande rispetto per i cristiani, perché sanno come vivono. Ci può essere qualche episodio di fanatismo, ma in generale ad Aleppo ci sono buoni rapporti. Certo, il pericolo viene dai nuovi arrivati, dai ribelli, anche perché tra loro ci sono tanti stranieri, gente che non è di origine siriana.

Per Pasqua, allora, che cosa si è sentito di dire ai suoi fedeli? Come si incarna in questa situazione la speranza che viene dalla resurrezione e che va al di là delle difficoltà di un contesto così complicato?

Voglio essere realista con le persone che mi ascoltano, ma credo che in questo momento sia necessario dare fiducia, spiegare loro quanto è grande la grazia di essere salvati in Cristo, il sacrificio di Cristo che si manifesta pienamente nella Pasqua, il senso del perdono. Questi sono i valori profondi della nostra fede, questa è la speranza che possiamo dare, ma basandola, appunto, sui principi della fede. Per me è molto importante che si capisca questo. In questo momento non possiamo far finta che tutto possa andare bene o limitarci a qualche esortazione: la gente non capirebbe, è stanca di promesse. La speranza è un messaggio difficile da far passare, da far accettare. Ma se è fondata sulla fede, sulla resurrezione di Cristo, resta credibile e diventa capace di infondere fiducia, di dare coraggio, di produrre solidarietà, di generare sapienza, di insegnarci a leggere gli avvenimenti.

Ma la gente come vive la fede di fronte alla mancanza concreta di prospettive?

La fede non manca, ma la maggioranza vuole partire. Tutti pensano a emigrare. Anzi, certi si lamentano che i vescovi non fanno niente per aiutare le persone a partire. Non possiamo seguire una politica di emigrazione, dobbiamo fare di tutto per rimanere, per dare fiducia in virtù della nostra fede, per non far mancare la nostra presenza, memori della nostra storia in questo Paese.

C’è il rischio che le comunità cristiane scompaiano?

C’è questo rischio. Constatiamo la diminuzione dei cristiani giorno dopo giorno, soprattutto negli ultimi quindici anni. È un’emorragia senza fine. Malgrado tutto, speriamo che chi resta faccia l’esperienza della fede, della grazia di essere cristiano. Per dare sostanza a questa speranza bisogna partire da gesti concreti, far sentire la nostra presenza, la nostra solidarietà. La Chiesa, la nostra comunità, continua ad aiutare tutti quelli che può. Il gesto che abbiamo programmato per i bambini ne è un esempio: vogliamo aiutare le famiglie, essere attenti e solidali.

(Paolo Rossetti)

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