È coinciso con il giorno del Venerdì Santo l’undicesimo anniversario dell’inizio della guerra in Siria. Era infatti il 15 aprile 2011 quando si aprì un conflitto decennale che ha provocato mezzo milione di morti tra la popolazione civile e undici milioni di sfollati interni ed esterni. Undici anni dopo, adesso che la guerra è finita, la Siria è ancora in ginocchio, come ci dice in questa intervista il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco: “La guerra in realtà non è ancora finita, si combatte ancora, ci sono superstiti dell’Isis che si stanno riorganizzando. Molte città sono ancora distrutte, mancano il lavoro, la luce, l’acqua, il pane. La gente è provata, ha perso fiducia e speranza, ci sentiamo abbandonati da tutto il mondo”. Adesso che un’altra guerra è scoppiata nel cuore dell’Europa, “della Siria non si interessa più nessuno. In Siria tutto è fermo e la povertà galoppa. È incredibile e terribile come si stia ripetendo in Ucraina tutto quello che è successo in Siria. Come dice il Papa, l’uomo non impara nulla dalla storia. Dopo la guerra in Siria, c’è stata la crisi libanese, poi il Covid, anche l’Afghanistan, adesso l’Ucraina”.
Sta succedendo in Europa quello che voi avete vissuto per anni, siamo sconvolti e le nostre certezze svaniscono. Come si può affrontare questa situazione?
È vero, stanno succedendo le stesse cose, gli stessi disastri. Comprendiamo quello che soffrono i nostri fratelli e le nostre sorelle in Ucraina, perché qui in Siria lo abbiamo vissuto fino a ieri. Adesso le bombe non cadono più, ma c’è la bomba della povertà che ha colpito il 90% della popolazione. Quello che è successo qui adesso succede in Europa.
Si arriva alla guerra perché non si risolvono i problemi con il dialogo. Continuiamo a usare la guerra per affrontare la realtà. Come mai?
È una pazzia. Bisogna avere in mente che non basta la pace, perché una volta che finiscono le bombe nascono la povertà, l’odio, il rancore e la vendetta. La guerra è una fabbrica che sforna ogni tipo di danni. Non si distruggono solo gli edifici, come vediamo in queste immagini terribili dall’Ucraina, ma il tessuto sociale, le relazioni fra la gente, le famiglie. Le distruzioni degli animi sono peggiori di quelle degli edifici, perché quelli si possono ricostruire, ma per ricostruire le relazioni sociali ci vogliono generazioni.
Si sta tornando a quella divisione durata decenni fra Occidente e Russia, si ricreano le condizioni per una nuova Cortina di ferro?
La guerra distrugge anni di lavoro e di relazioni internazionali, è una ferita terribile. È triste vedere ripetersi in Ucraina le stesse strazianti immagini di dolore viste in Siria: quartieri distrutti, morti, milioni di profughi, uso di armi non convenzionali, come le bombe a grappolo, bombardamenti di ospedali e scuole. È la stessa identica discesa agli inferi che si è vista in Siria.
La Chiesa ortodossa russa ha benedetto questa guerra. Si sta verificando anche una divisione fra i cristiani?
Non entro in questa discussione, ma è una ferita anche questa. Si aprono ferite su tutti i fronti.
Come viene vista dai siriani la guerra in Ucraina?
La gente non osa esprimersi. Personalmente mi unisco al forte ammonimento di Papa Francesco a far tacere le armi e a fermare il massacro. La parabola evangelica del povero Lazzaro e del ricco Epulone ci dice come la Siria sia un ammonimento a non cadere nel medesimo luogo di tormenti in cui lei stessa è caduta.
Sembra che i russi offrano somme di denaro ai siriani per andare a combattere in Ucraina. Si sfrutta la povertà per usarli come carne da cannone?
Qualcosa di simile è capitato in Libia qualche anno fa: mercenari siriani si sono trovati a combattere su fronti opposti. La guerra crea tanti malanni: vittime, distruzioni di quartieri e villaggi, profughi, danno al tessuto sociale, disgregazione della famiglia, violenza, povertà, mancanza di lavoro, droga e altri mali. Tanti giovani si trovano senza lavoro, hanno imparato a maneggiare le armi e si arruolano per poche centinaia di dollari.
Cosa ha da dire il mistero della Croce quando c’è una guerra?
Risponderei con una espressione del filosofo francese Blaise Pascal: Cristo è in agonia fino alla fine del mondo e ha bisogno della nostra consolazione. Questo significa solidarietà con questi nostri fratelli in agonia, i bambini traumatizzati che porteranno per tutta la vita queste ferite. Citando il Vangelo, paragono quanto succede alla sofferenza di Cristo quando chiede ai discepoli di fargli compagnia nell’Orto degli Ulivi.
In che senso?
Gesù ci chiede di attivare la nostra solidarietà umana e spirituale e di non addormentarci come fecero i discepoli abbandonando Gesù. Fino a qualche anno fa i giornalisti mi chiamavano da tutto il mondo, adesso lei è il solo dopo tanto tempo.
I siriani fuggono ancora dal Paese?
Soprattutto i giovani chiedono di essere aiutati a farlo ripartire. Non vedono futuro, non vedono una ricostruzione, ma una chiesa senza gli uomini cosa fa? Non si trovano più persone che hanno studiato per i lavori che richiedono le loro capacità, se ne sono andati via tutti.
Papa Francesco ha consacrato Russia e Ucraina al cuore di Maria. Interpella la nostra conversione personale?
La fede è l’unica risorsa dei poveri. Anche qui tanta gente la riscopre, è l’unica cosa che rimane e a cui aggrapparsi.
(Paolo Vites)
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