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Home » Esteri » Medio Oriente » DALLA SIRIA/ Mons. Audo: Al Sharaa sogna il Qatar ma la gente è senza lavoro e il formaggio è un lusso

  • Medio Oriente
  • Esteri

DALLA SIRIA/ Mons. Audo: Al Sharaa sogna il Qatar ma la gente è senza lavoro e il formaggio è un lusso

Int. Antoine Audo
Pubblicato 15 Giugno 2025
Al-Jolani, Siria

Abu Mohammed al-Jolani, nuovo leader Siria (ANSA-EPA 2025)

Antoine Audo, vescovo di Aleppo, racconta la Siria dei soldi promessi da sauditi e Qatar. Che però ora deve fare i conti con la povertà della gente

I tagli dell’amministrazione USA dovrebbero far chiudere buona parte dei centri UNHCR in Siria, un ulteriore problema per portare gli aiuti umanitari. E mentre l’Osservatorio siriano per i diritti umani certifica che dalla caduta di Assad nel Paese sono state uccise quasi 8mila persone e il governo incassa la revoca delle sanzioni e l’appoggio della comunità internazionale, la vita della gente nel Paese scorre come prima: poco lavoro, salari da fame, soprattutto se si è dipendenti della pubblica amministrazione, alimentazione ridotta ai minimi termini, pane, olio e pomodoro, perché non ci sono soldi neanche per comprarsi un pezzo di formaggio.


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Così è la vita ad Aleppo, come la racconta Antoine Audo, vescovo caldeo della città, dove un lavoratore pubblico per il momento prende 25-30 dollari al mese. Il presidente Al Sharaa, così come le autorità locali, continuano a mantenere rapporti sereni con la comunità cristiana e con i vescovi; tuttavia, il Paese è ancora nella fase delle promesse. Si parla di grandi progetti finanziati dai Paesi del Golfo o dalla Turchia, ma la realtà della gente è di persone che faticano a vivere dignitosamente.


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Com’è la situazione adesso ad Aleppo?

Tutti dicono che Aleppo sia la città messa meglio in tutta la Siria, paragonata a Homs, alla zona del litorale, ma anche alla regione dei drusi o a Damasco. In effetti è piuttosto calma, non ci sono grossi problemi e il dialogo con le autorità è sempre aperto. In generale, però, i problemi non mancano: tutto è caro, soprattutto per quanto riguarda il cibo. La gente non ha lavoro, per molti mangiare carne, formaggio o frutta è diventato un lusso. Certo, al mercato si trova tutto, ma se lo può permettere solo chi ha i soldi. E non sono molti.


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E i grandi discorsi sul rilancio del Paese?

I grandi progetti di cui si è parlato non si sono ancora visti, si parla di investimenti importanti, ma siamo ancora in attesa che si concretizzino. Le promesse sono tante e vengono dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dalla Turchia, ma non c’è ancora niente di concreto, di forte, a livello internazionale. Ci dicono che bisogna aspettare qualche mese per trovare una soluzione riguardo alle difficoltà nella fornitura della corrente elettrica, dell’energia, a tutto quello che serve anche per dare impulso all’industria.

Senza lavoro e senza disponibilità, la gente come fa a mangiare?

Mangiano cibi semplici, pane con un po’ di pomodoro e di olio, cose del genere; di sicuro non possono permettersi il formaggio o il burro, sono alimenti troppo costosi per la maggior parte delle persone.

Ma c’è qualcuno che aiuta le persone a sopravvivere?

La Chiesa continua con i suoi programmi e lavora soprattutto nel campo dell’educazione, contribuisce a sostenere i costi della scolarità o quelli delle medicine, che sono molto care. Ha organismi come la Caritas, che sono molto attivi. In ogni comunità c’è un comitato che aiuta la gente che deve ricorrere alle cure mediche in ospedale o che, appunto, deve comprarsi le medicine per guarire. E poi ci sono programmi per il cibo, che riguardano soprattutto le grandi occasioni di festa come Natale, Pasqua, ma anche l’estate.

Il governo locale e gli amministratori locali come si stanno muovendo?

Siamo ancora alle promesse, alle buone intenzioni: le autorità spiegano che si tratta di un momento di grande trasformazione, che bisogna aspettare, ma che la prospettiva è quella di diventare come i Paesi del Golfo, perché la Siria è ricca, ha le risorse per un futuro migliore. Ora la Siria è diventata un Paese dove si vedono tante macchine, non c’è più lo sbarramento doganale come prima, quando le automobili disponibili erano troppo care e non era possibile comprarle. Adesso si è aperta qualche possibilità: la gente ha anche bisogno di movimento.

Le persone ricevono sovvenzioni dallo Stato, dal governatore, per riuscire ad andare avanti?

Per il momento no. Lo Stato dice che non ha abbastanza soldi per pagare lo stipendio dei suoi lavoratori. La vita ad Aleppo in questo momento è tranquilla, non ci sono problemi di sicurezza, però tutti si aspettano che cambi qualcosa, di poter alzare il livello economico, perché attualmente non è facile vivere dignitosamente. Sono ancora poche le persone che hanno la disponibilità finanziaria per farlo.

I tanti profughi che erano all’estero sono rientrati in patria?

Non tanti. Molta gente viene da Idlib, dalla campagna, perché Aleppo è una grande città che offre loro tante possibilità e rappresenta una novità. Le persone che tornano dall’estero, però, sono poche; qualcuno è arrivato dal Libano, perché anche lì la situazione è molto difficile, non c’è lavoro e la vita è molto cara. Ma non si tratta di tante persone.

I vostri rapporti con le autorità di HTS come sono? Ancora cordiali come all’inizio?

In generale i rapporti sono buoni. La settimana scorsa il presidente Al Sharaa è venuto ad Aleppo, alla Cittadella, per celebrare i martiri che hanno contribuito a prendere la città sei mesi or sono. Alla fine ha chiesto a tutti i vescovi un incontro con lui. Erano già le 11 di sera. Per questo siamo andati nel palazzo presidenziale, per una riunione di 45 minuti in cui è stato possibile rivolgere delle domande, raccontare la situazione di povertà in cui vive la gente. Il presidente ha parlato per 15 minuti fornendo qualche chiarimento sul futuro e spiegando quello che sta facendo.

Cosa vi ha detto in particolare?

Ci ha parlato della difficoltà di riorganizzare lo Stato, di mettere a punto il sistema dei salari dei dipendenti pubblici a causa della grande corruzione che caratterizzava il governo precedente. Non ha parlato di progetti da realizzare, ma ha sottolineato che la priorità è la riorganizzazione dell’amministrazione, anche per riuscire a garantire stipendi dignitosi ai lavoratori pubblici. Ma ci vuole tempo, per ora siamo sempre a livello di promesse.

Che stipendio hanno questi lavoratori? Che cosa guadagnano in un mese?

Gli operai che lavorano per ricostruire i palazzi, per i privati, guadagnano qualcosa; chi è alle dipendenze del governo no, prende 25-30 dollari al mese. Pochissimo, e la vita è molto cara. In questo contesto, noi come Chiesa, come cristiani, facciamo tutto il possibile per essere presenti ed essere positivi, per aiutare la gente: un atteggiamento che genera grande partecipazione. Per il momento mi sembra che ci sia un grande rispetto del governo verso i cristiani.

(Paolo Rossetti)

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