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Home » Esteri » Medio Oriente » DALLA SIRIA/ Mons. Mourad: se Trump vuole la pace, dica a Israele di lasciarci l’acqua del Golan

  • Medio Oriente
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DALLA SIRIA/ Mons. Mourad: se Trump vuole la pace, dica a Israele di lasciarci l’acqua del Golan

Israele vuole un accordo di pace con la Siria, ma la gente un’intesa chiara per usare le fonti del Golan. Al Sharaa e HTS sempre ambigui sulla sicurezza

Int. Jacques Mourad
Pubblicato 6 Luglio 2025
Protesta contro il governo di al Sharaa davanti alla sede Onu a Ginevra, marzo 2025, dopo il massacro degli alawiti (Ansa)

Protesta contro il governo di al Sharaa davanti alla sede Onu a Ginevra, marzo 2025, dopo il massacro degli alawiti (Ansa)

Israele, spinto dagli USA, vuole un accordo di pace con la Siria, sull’onda dei cosiddetti Accordi di Abramo. Ma Al Sharaa potrebbe avere qualche difficoltà a farlo accettare non solo ai gruppi che compongono Hayat Tahrir al Sham (HTS), ma anche alla gente, soprattutto se Israele manterrà il controllo del Golan e delle sorgenti dell’acqua che viene utilizzata a Damasco.


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La popolazione, racconta Jacques Mourad, arcivescovo di Homs, reclama anche sicurezza. Anche con questo governo sembrano ripetersi certi meccanismi tipici dell’era Assad. La Siria avrebbe bisogno di una comunità internazionale più attenta, interessata non solo agli affari della ricostruzione, ma anche alla costruzione di una società giusta.


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Gli USA spingono per una pacificazione fra Siria e Israele. E sarebbero già in corso delle trattative. È un tentativo serio?

Trump ha incontrato sia i sauditi che Al Sharaa. Spinge per un accordo di pace con Israele. L’attuale leader siriano a Damasco ha ricevuto anche la visita di un rabbino vicino al presidente americano.

Anche in questo caso si ripropone un tema che riguarda diversi aspetti della situazione siriana. Al Sharaa sembra orientato a cercare intese nello spirito degli Accordi di Abramo, ma i gruppi che compongono HTS, la formazione che sostiene l’attuale governo, sono d’accordo? Riusciranno a rispettare un’eventuale intesa?


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Non sono solo i gruppi islamisti che possono essere contrari. Neppure il popolo siriano accetterà facilmente un accordo, soprattutto dopo l’occupazione di alcune zone della Siria operata da Israele in seguito alla caduta di Assad.

Israele si è presa una parte del Golan. Un’intromissione che la gente non ha digerito?

Se il Golan è nelle mani di Israele, vuol dire anche che lo è l’acqua di Damasco. Perché le sorgenti dell’acqua che viene utilizzata nella capitale sono proprio nel Golan e Israele si è mossa perché quest’acqua venga convogliata dalla sua parte. È lo stesso problema che c’è per l’Eufrate con la Turchia. Il popolo siriano rischia di rimanere assetato a causa della presenza israeliana. Per questo c’è bisogno di un accordo assolutamente chiaro, garantito dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale, perché la Siria abbia diritto all’acqua. È un problema anche per il Libano, un problema concreto.

Al Sharaa, quindi, potrebbe avere problemi a far accettare un’intesa all’interno del Paese?

Dopo 60 anni di guerra con Israele, il popolo siriano è stanco. La maggior parte della gente non vuole che il Medio Oriente rimanga in questa situazione. Ma vuole avere il diritto di disporre dell’acqua e, per esempio, di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme. Io, personalmente, sogno da tempo di poterlo fare, di andare dal Golan alla Terra Santa. Adesso non è possibile. Ed è così dal 1967. È un sogno dei cristiani e non solo loro.

C’è stato un attentato in una chiesa cristiana ortodossa di Damasco e, negli ultimi giorni, la Reuters ha pubblicato un’inchiesta secondo la quale, negli scontri lungo la costa mediterranea del marzo scorso, sono morti 1500 alawiti. Gli ordini di colpirli sarebbero arrivati da persone vicine al governo. La sicurezza in Siria è ancora una chimera?

Nessuno dei siriani, anche tra i sunniti, si sente sicuro, vive in sicurezza, perché non ci sono segnali di giustizia da parte del governo attuale. Le dichiarazioni che sentiamo sono belle, piene di speranza, ma c’è una differenza enorme tra le parole e la realtà di tutti i giorni. Anche le dichiarazioni di Al Sharaa e del governo sono ambigue, si prestano a diverse interpretazioni. Tutto è legato alla mentalità di chi parla, alle sue reali intenzioni. Nella vita di tutti i giorni capita che alcuni sunniti, tornati dall’esilio o rimasti in patria, usino il potere per rivalersi sui loro vicini, magari sunniti essi stessi. Lo fanno nel nome dell’Islam e del governo. Per questo ho paura che non ci sia un grande cambiamento fra il regime di Assad e quello attuale.

Si può parlare ancora di speranza per la Siria?

Certo. Ma la speranza è condizionata dalla posizione della comunità internazionale. Il problema del popolo siriano è che, dopo tutte le sofferenze che ha passato, non ha più fiducia in nessuno. Ha capito che, se vuole una Siria democratica, deve darsi da fare per costruirla, ma è molto stanco e povero e non ha la forza di realizzare questo sogno da solo. D’altra parte, tutti i Paesi esterni che guardano alla Siria hanno degli interessi e non si preoccupano della giustizia, dei diritti dell’uomo, della pace. Forse vogliono la pace per il Medio Oriente, ma per sviluppare i loro progetti economici. A loro non interessa del popolo siriano. Non c’è nessuna iniziativa da parte dell’Europa, degli Stati Uniti o dell’ONU per aiutare a realizzare una pace che permetta al popolo siriano di vivere in dignità.

(Paolo Rossetti)

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