Dall’Ucraina al Medio oriente, fino a Taiwan e ai BRICS, pensare al momento che si possa parlare solo di una crisi dell’ordine mondiale sembra ormai riduttivo. Sono passati appena due mesi e mezzo da quando Donald Trump è entrato alla Casa Bianca e, a furia di colpi di scena, di bluff, di proposte di tregua e di trattative di pace nei teatri dei conflitti, di “guerra dei dazi” (un giorno sì e uno no) diventa difficile immaginare una soluzione credibile e realistica di qualche tipo per risolvere questa situazione che diventa sempre più pericolosa.
Ormai, si parla genericamente di cambiamento d’epoca. Ma questa, a ben pensarci, è un’ovvietà alla quale occorre arrendersi, non solo per il tempo che è passato, ma per tutto quello che è accaduto dalla fine della seconda guerra mondiale, che ha letteralmente polverizzato gli obiettivi dell’“ordine mondiale” stabiliti alla Conferenza di Jalta.
Quello che sorprende da parte della nuova classe dirigente a livello mondiale è che, dopo gli ultimi ottant’anni, da almeno quaranta, non si è mai affrontato il problema di un nuovo ordine che si doveva aggiustare e sistemare, mentre il vecchio si sgretolava.
I segnali che venivano dalla parte sovietica della “cortina di ferro” venivano superati con troppa semplicità. Quando cadde il Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, sembrava che il crollo, la contrapposizione dei due mondi principali, fosse un fatto quasi fisiologico, che non avrebbe portato grandi conseguenze.
Sembravano dimenticati gli effetti delle rivolte sanguinose a Est, il grande processo di decolonizzazione che si stava ultimando e i nuovi grandi contrasti mondiali tra il mondo occidentale e l’emergere di un mondo in crescita demografica ed economica che entrava in competizione inevitabilmente con l’Occidente.
Aggiungiamoci il fenomeno tragico della nascita di organizzazioni terroristiche che si muovono a livello mondiale e una globalizzazione che ha pensato sopratutto ai problemi economici piuttosto che a quelli umani, sociali e politici. Infine, cercando di riassumere l’essenziale, avremmo dovuto valutare in tutta la sua ampiezza la grande e nuova rivoluzione tecnologica, che ha invaso letteralmente il mondo del lavoro e ha cambiato, come era inevitabile, il pensiero e il modo di vivere degli uomini.
Inutile quindi scomodare neologismi e sfornare ipotesi che vengono smentite nel giro di un paio d’ore. Occorre prendere atto che, oltre alle 54 guerre che vengono registrate dagli analisti in varie parti del mondo, ci sono due fronti, quello ucraino e quello del Medio Oriente, che sembrano a un passo non dalla “crisi dell’ordine” ma dalla “rottura”, che in parole secche e drammatiche, fanno pensare a uno sbocco di scontro mondiale senza precedenti.
Quello a cui si è assistito di fronte al grande cambiamento, come comportamento da parte della classe dirigente a livello mondiale, è stata l’anacronistica risposta delle ideologie del passato per risolvere la “grande crisi” che si presentava inesorabilmente con l’aumentare del disordine.
Aggiungiamo ancora un altro fattore determinante. Il problema del rilancio delle ideologie ha riguardato tutti. Se a Est ci si ribellava anche con scontri sanguinosi, a Ovest prima si è cercato di mettere tutto in discussione (tipico fenomeno è il sessantottismo) e poi si è caduti nella critica fino al disinteresse per la democrazia liberale, fino al punto della “grande fuga” dalle urne.
Nella sostanza, noi siamo di fronte a una crisi gravissima, armati di vecchi schemi e di vecchi “arnesi” ideologici.
Poniamoci alcune domande. È possibile che il Consiglio europeo distingua tra riarmo e problemi di difesa, senza concludere nulla? È possibile che tutta un’ala di sinistra (quella italiana) abbia nostalgie al punto di votare in due modi diversi e di fatto spaccando un partito?
Ma allo stesso tempo è possibile che all’interno della maggioranza italiana ci siano posizioni distinte e sfumature antiche sui problemi del pacifismo e della deterrenza?
Se spostiamo poi il problema alle altre parti del mondo, ci si pone inevitabilmente una domanda: perché in periodo di globalizzazione, il problema dell’ordine deve essere discusso e risolto soprattutto tra due o tre potenze?
Possiamo continuare, facendo esempi che riguardano il Medio Oriente, la “concorrenza” tra l’Arabia Saudita e l’Iran. In più il ruolo che reclama la Cina, quello che presto reclamerà l’India e il declassamento di altre zone.
Tutto questo è il ritorno della vecchia ideologia di fronte a una situazione nuovissima, che forse non si sa interpretare.
Ma senza soppesare e comprendere la realtà, la vecchia ideologia che si usa perché non si cercano altri mezzi, diventa “falsa coscienza” e porta a dei disastri.
Quello economico da oltre trent’anni lo abbiamo già avuto con la riscoperta dell’individualismo. Ci si augura che non segua la riscoperta della vecchia ideologia dell’ordine imposto dall’alto delle grandi potenze. Qui il rischio sarebbe ancora più grande.
La speranza è che sia l’uomo a trovare in se stesso, come in altre epoche storiche, la soluzione adatta e sopratutto ritrovi, in un mondo che sembra una “folla solitaria”, la sua innata capacità relazionale.
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