Soltanto nel 1355, caduta la condanna di Dante, grazie a Boccaccio (e al suo Trattatello in laude di Dante), la Divina Commedia cominciò a circolare liberamente anche a Firenze. Boccaccio, se così si può dire, la fiorentinizzò, con ben tre codici e ne diventò il primo lettore pubblico.
La prima lectura Dantis risale al 1373, ad opera proprio di Boccaccio (che morì nel dicembre 1375), il quale amava a tal punto Dante da considerarlo, quale era, la “stella polare” di quella che sarebbe diventata la lingua e la prima opera della letteratura del nostro italiano.
Le letture commentate della Divina Commedia da parte di Boccaccio si interruppero nel corso del 1374, perché, come scrive Marco Santagata nella sua recente biografia, le condizioni di salute di Boccaccio si erano aggravate, aggiungendo altresì che, forse, si interruppero anche per ragioni, come dire, psicologiche, in quanto a Firenze non tutti amavano “il Dante” e circolavano su di lui diverse obiezioni, anche di carattere religioso.
Gli appunti di queste letture redatti da Boccaccio sono limitati ad una sessantina di lezioni (c’è chi afferma che le letture pubbliche documentate di Boccaccio siano state 59). Santagata ritiene invece che l’autore del Decameron ne abbia fatte di più, pur se non sono contenute negli scritti da lui consultati. In ogni caso, il lavoro di Boccaccio si interruppe bruscamente e le letture pubbliche della Divina Commedia a Firenze, in quel secolo, non furono più riprese.
Di codici ne sono stati scritti naturalmente anche nei restanti anni del Trecento, proprio per la fama crescente di Dante, a seguito della sua riabilitazione da parte dei signori di Firenze; tale fama si affievolì in parte nel Quattrocento e nel Cinquecento: in tale ultimo secolo si contano appena 34 edizioni della Divina Commedia, e soltanto 3 nel Seicento.
Sono circa 500 invece le copie manoscritte tra XIV, XV e XVI secolo. In totale, gli studiosi affermano che le copie amanuensi hanno superato quota 1.500. Le prime edizioni a stampa (incunaboli) della Divina Commedia sono state effettuate a partire dal 1472 con tre copie: una a Foligno, una seconda a Jesi (un’altra fonte afferma che fu stampata a Verona, anziché nella città marchigiana) e la terza a Mantova.
Nuovi studi si svilupparono nel Settecento (grazie a Gaspare Gozzi, nel 1758, e a Vittorio Alfieri, nel 1786); molti di più furono nell’Ottocento (per merito di Ugo Foscolo, nel 1806, di Giuseppe Mazzini, con il famoso saggio scritto nel 1826–27: Dell’amor patrio di Dante, e di Francesco De Sanctis, nel 1857) e nel Novecento, a partire da Gabriele D’Annunzio, a inizio secolo, e, soprattutto, da Giovanni Pascoli, il quale, a Castelvecchio, aveva tre tavoli di lavoro: uno dedicato alla poesia, uno ai classici latini e alla sua produzione in lingua latina, ed un terzo, appunto, dedicato al lavoro su Dante Alighieri. Pascoli pubblicò tre corposi saggi critici sulla Divina Commedia, proponendo un’interpretazione molto particolare, non certamente cattolica, della fede di Dante, ma più decisamente laica.
A proposito di Boccaccio, ci piace segnalare il bel romanzo (e il film Dante) del regista Pupi Avati, ispirato dal Trattatello boccacciano, L’alta fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante (Solferino, 2021), nel quale l’autore e cineasta racconta gli ultimi giorni di vita di Dante, il viaggio dello stesso Boccaccio per consegnare l’indennizzo stabilito da Firenze, dopo aver riabilitato Dante, alla figlia Antonia-suor Beatrice, domenicana, come detto, a Ravenna.
Boccaccio incontrò anche gli amici del “Cenacolo” dell’Alighieri, tra i quali ci piace ricordare il notaio e rimatore ravennate, per la precisione di Pezzolo di Russi, Menghino Mezzani. Su di lui è stato pubblicato un interessante saggio curato dai docenti universitari Luca Azzetta e Marco Petoletti Il caso di Menghino Mezzani tra Dante e la Romagna (Longo, 2022), in cui si evidenzia il rapporto tra Dante e Menghino le riflessioni e traduzioni di quest’ultimo in merito alla Divina Commedia e al Sommo Poeta.
(3 – continua)
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