Di Ravenna, Dante scrive anche dei suoi mosaici, senza però citarli (Paradiso, Canto XX, 80); in particolare quelli della basilica di Sant’Apollinare Nuovo (Purgatorio, Canto XXIX, 83-84, 88, 92-93; Canto XXVIII, 40-42), ma anche di Galla Placidia (Paradiso, Canto XXXI, 1; Canto XV, 24), San Vitale (Paradiso, Canto VI, 10-12), Sant’Apollinare in Classe (Purgatorio, Canto XXVIII, 36) e Santa Maria Maggiore, la cui immagine della Vergine orante, un mosaico del XII secolo proveniente dalla basilica Ursiana, oggi nel Museo arcivescovile, ha ispirato la “preghiera di San Bernardo”, che, dopo il Magnificat, è considerata la più bella preghiera mariana mai scritta (Paradiso, Canto XXXIII, 1-39).
La questione dei mosaici è oggetto di studio da almeno un secolo, ma, come si può facilmente intuire, è complessa e delicata da trattare. Dante non cita mai, come accennato, i mosaici ravennati, eppure in alcune scene già richiamate del Purgatorio (le scene del Paradiso terrestre) e del Paradiso, si può intuire come le iconografie musive abbiano ispirato la sua creatività ed immaginazione (Dante avrebbe poi rielaborato ed amplificato tali immagini), trovando in esse stimoli non soltanto artistici, ma spirituali e teologici.
Gli ultimi lavori autorevoli su questo tema sono: il volume di Laura Pasquini, Iconografie dantesche. Dalla luce del mosaico all’immagine profetica (Longo, 2008) e il catalogo della mostra La bellezza ch’io vidi… La Divina Commedia e i mosaici di Ravenna (Itaca, 2018), che invitiamo il lettore a leggere con l’attenzione che meritano.
Dante ricorda anche le emiliane Bologna e Ferrara, oltre a scrivere dei fiumi Po e Reno (Purgatorio, Canto XIV, 92), del citato Rubicone, del Lamone, del Santerno (tutti in Inferno, Canto XXVII, 49), del Savio (52) e del citato Montone; scrive anche di molte delle più rappresentative e potenti famiglie romagnole: quelle dei ricordati Anastagi, Traversari, Del Duca e Da Polenta; nonché i Montefeltro, Manfredi, Malatesta, Onesti Ordelaffi; di alcune di esse descrive anche stemmi ed imprese.
Dante scrive altresì di diversi personaggi, oltre a quelli citati in precedenza, quali, ad esempio: i famossimi Paolo Malatesta e Francesca da Polenta (Inferno, Canto V), e i ricordati Guido da Montefeltro (a cui Dante risponde nel XXVII Canto dell’Inferno, 37-38), Giovanna da Montefeltro, Fulcieri de’ Calboli.
Nel Paradiso Dante ricorda, infine, due o tre monaci ravennati (secondo le diverse fonti): San Romualdo (Paradiso, Canto XXII, 50) e San Pier Damiani (Paradiso, Canto XXI, 121, di cui è protagonista) sono certi; sul terzo, Pietro degli Onesti, cioè “Pietro Peccator” (Paradiso, Canto XXI, 122-123), ci sono invece ipotesi diverse.
La menzione di Pietro Peccatore, fatta da San Pier Damiani, infatti, secondo gli studiosi presenta una seria difficoltà di interpretazione, perché non è chiaro se effettivamente Pier Damiani si riferisca a questo monaco dell’XI-XII secolo, che accolse l’immagine della Vergine Greca sul litorale di Porto Fuori, oppure a se stesso, in quanto Pier Damiani si firmava abitualmente Pietro Peccatore. L’interpretazione che si dà oggi, a partire dal Barbi, è che senza dubbio Pier Damiani si riferisca a se stesso.
Noi, molto umilmente, propendiamo invece per la prima ipotesi (decisiva è la virgola a fine verso, a nostro modesto parere). Dopo la rinuncia al cardinalato, infatti, Pier Damiani si ritira nel convento dei monaci di Porto Fuori, “la casa/ di Nostra Donna in sul lito adriano”, retta da “Pietro Peccator”, e non da lui stesso.
(7 – fine)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.